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Frase omofoba, De Paoli si difende Il processo è arrivato al capolinea

Si è svolta ieri nel tribunale di Genova l’ultima udienza del processo che vede imputato l’ex Consigliere regionale di Lega Nord Giovanni De Paoli, denunciato nel 2016 in merito alla frase incriminata “Se avessi un figlio gay lo brucerei in un forno” che lui asserisce di non aver pronunciato ma gli viene contestata in relazione ad un intervento svolto in consiglio. "Ieri la difesa ha rinunciato ai suoi testi e il giudice Filippo Pisaturo ha rinviato la discussione al 21 marzo prossimo" spiega la denunciante Aleksandra Matikj del Comitato per gli Immigrati e contro ogni forma di discriminazione .

"Trattandosi del primo processo in Italia in materia di omofobia, è senz’altro un precedente importante in attesa di una Legge che in Italia difenda chi vittima di omolesbobitransfobia" dice l’esponente del Comitato per gli immigrati che, a proposito dell’auspicato intervento legislativo, aggiorna sul lavoro svolto e su auspici: "Abbiamo già portato 50000 firme a Roma. Speriamo che anche il nuovo governo di Giorgia Meloni possa comunque dedicare lo spazio anche questo tema importante che riguarda i diritti umani".

Oltre al Comitato Immigrati De Paoli era stato denunciato dall’associazione genitori di omosessuali: i due fascicoli inizialmente aperte in maniera distinta sono poi confluiti, in un unico processo a carico dell’ex consigliere regionale, prossimo alla sentenza. Lui, come detto, nega gli addeiti, asserendo di non aver pronunciato quella frase e di non aver mai pensato di bruciare i gay.