
"Condannato all’ergastolo". Un macigno per Francesco Ruggiero che, alla lettura della sentenza, non si è scomposto. Un uomo di ghiaccio. È rimasto sull’attenti – come faceva nelle caserme di Cadimare e Pisa dell’Aeronautica dove aveva lavorato – per tutta la lettura del lungo dispositivo nel verdetto. Un uomo dello Stato allora, ora un detenuto con la prospettiva di rimanere in carcere per tutta la vita.
La Corte d’assise presieduta da Diana Brusacà (giudice a latere Marta Perazzo, sei giudici popolari donna nel collegio, due gli uomini), dopo tre ore di camera di consiglio, ha trasformato in verità processuale di primo grado le prospettazioni della pubblica accusa, ieri rilanciate in aula dal pm Monica Burani, senza acuti ma con una narrazione ficcante: l’allora sottufficiale dell’arma azzurra pianificò con lucida determinazione l’uccisione di Vincenzo D’Aprile, altro che gesto d’impeto innescato dalla paura di un’aggressione.
In piazzale Ferro, l’11 marzo del 2019, si consumò un delitto studiato, meditato: cinque colpi di pistola contro il rivale in amore, dopo il bacio di questo alla moglie ritrovata, Nicoletta Novelli, ex amante del militare; uno sparato dall’interno dell’auto, gli altri fuori dalla vettura, di cui uno letale, dall’alto verso il basso, a mo’ di esecuzione. La pistola era una Glock calibrò 9. "L’avevo con me perché quel giorno volevo andare al poligono di tiro di Sarzana", era stata la prima giustificazione. "L’avevo sempre con me perché avevo paura di D’Aprile", si era poi corretto, dopo aver appreso che il poligono di tiro quel giorno era chiuso. Anche le contraddizioni hanno pesato nel verdetto che ha inchiodato l’ex militare dell’Aeronautica, all’epoca in servizio nella base di Cadimare, proveniente dal 46 Brigata aerea di Pisa, ora sospeso: il cellulare lasciato in caserma a Cadimare per non essere indotto a ripensamenti, il borsone preparato con gli effetti personali nella prospettiva del carcere e, sopratutto, la Fiat 500 presa a noleggio. Ruggiero non si recò sul luogo del delitto con la sua vettura per evitare di farsi riconoscere da Nicoletta Novelli, seguita dal luogo di lavoro (la clinica Alma Mater) a piazzale Ferro, il luogo della ricomposizione del nucleo famiglia, dell’appuntamento dato alla donna dal marito, alla vigilia dell’udienza di divorzio destinata a saltare, nel quadro della strategia perseguita dal noto ristoratore di Cadimare di favorire la riappacificazione della moglie col figlio Gregorio. Tutto pianificato per "distruggere il quadretto familiare che lo escludeva", come ha dedotto la giovane pm che – affiancata dal procuratore capo Antonio Patrono nel solco del gioco di squadra in Procura – ha affrontato il primo processo per omicidio volontario premeditato, dimostrando metodo nel coordinare le indagini dei Carabinieri e nel rappresentare le norme per ricondurle all’applicazione del collegio, non solo in punto di diritto ma con convincente umanità. Linea condivisa alla virgola con i legali di parte civile: gli avvocati Andrea Corradino e Silvia Rossi. Nemmeno la ’costituzione’ nella caserma dei Carabinieri di Ruggiero (due ore dopo il delitto) ha fatto breccia nei giudici per bilanciare l’aggravante della premeditazione.
Per lui le condanne anche al risarcimento dei familiari della vittima, con provvisionali ’calibrati’ in relazione all’intensità dei legami e dello choc-arrecato: 150mila euro al figlio Gregorio (contro il quale puntò la pistola prima di darsi alla fuga), 130mila alla figlia Micol, 100 mila alla mamma Rita Maria Marchegiani, 75mila alla moglie Nicoletta Novelli, 50mila al fratello Massimo. Ruggiero è stato ritenuto colpevole anche delle lesioni inferte a Nicoletta nell’investimento-soft con l’auto in piazzale Ferro e, ovviamente, anche del porto abusivo (che poteva avere con sé solo nel tragitto casa-poligono di tiro). Scontato l’appello alla sentenza, già annunciato dagli avvocati Maria Concetta Gugliotta, Aldo Marchesi e Matteo Pirisi.
Corrado Ricci