CHIARA TENCA
Cronaca

Covid e turismo, Cinque Terre: da milioni di stranieri al vuoto

Stazioni desolate. Via Roma a Vernazza irriconoscibile. Le friggitorie hanno già chiuso i battenti. Sprangati i b&b di Monterosso

L’unica presenza costante nei cinque borghi è attualmente garantita dagli appassionati di

CinqueTerre, 18 ottobre 2020 - Che alle Cinque Terre questo non sia un ottobre come tutti gli altri, lo si capisce fin dalla stazione centrale della Spezia. Dopo una spruzzata mattutina, il tempo si è rimesso completamente e il gioco di luci fra sole e nubi invoglia a una passeggiata in riva al mare. Senza contare che è venerdì e i borghi della Riviera sembrano l’ideale per un fine settimana anticipato.

Eppure, un copione che negli scorsi anni faceva riversare fra la città capoluogo e la costa compresa fra Riomaggiore e Monterosso fiumi di turisti, nel 2020 non funziona più. Come se qualche sceneggiatore dispettoso lo avesse stracciato da un giorno all’altro. E più o meno , anche se non ha gambe e braccia, ma è infinitamente più piccolo e pericoloso di una persona, con il Covid è andata così: una ‘matta’ che ha scompigliato le carte, cancellando e tagliando i flussi e abbattendo in modo drammatico un’economia che su questi si era modellata. Certo, gli eccessi non mancano a nessuno, ma con il passaggio dall’assalto di milioni di persone ai cinque borghi che insieme fanno meno abitanti di una media città di provincia al deserto, lo shock è inevitabile. I vagoni sono quasi vuoti e così rimangono per almeno metà del viaggio: a Riomaggiore sale solo una coppia di tedeschi con cane al seguito e a Corniglia si vedono le prime comitive.

Nella stazione c’è anche qualche persona seduta sulle panchine, regolarmente munita di mascherina, così come i passeggeri a bordo. Scendiamo a Vernazza: il controllore a terra verifica i titoli di viaggio, e subito troviamo una sorpresa inaspettata. Via Roma è praticamente deserta: qualche appassionato di trekking si ferma sotto il cartellone dei sentieri che ha rimpiazzato quello con le immagini dell’alluvione, ma l’atmosfera è cristallizzata nell’attesa. Sarebbe troppo facile dire che si aspetta Godot, ma viene il dubbio che il turista, nell’autunno 2020, sia davvero come l’ineffabile protagonista della pièce di Beckett, che deve arrivare e non si palesa mai. Il ricordo della strada principale fra le case variopinte così gremita di persone da temere per la sicurezza è lontano: andando verso la piazzetta, mentre le soglie di bar e negozi sono piantonate dal personale fermo a far niente, s’incontreranno sì e no venti persone. E qualche saracinesca e porta chiusa non manca, soprattutto quelle di friggitorie e paninoteche. «Che tristezza». "Io mi sparerei". A parlare sono due negozianti che provano a darsi conforto in mezzo al disastro. Consola quasi, in questo scenario, lo sguardo verso la piazzetta sovrastata dal campanile a forma di minareto: forse, ancora più bella senza la folla e tornata ad essere il regno degli abitanti del paese. A Monterosso l’effetto è lo stesso: nella passeggiata di Fegina c’è solo un gruppo di stranieri in tenuta da trekking che si concede un gelato in un bar in cui di solito si fanno lunghi minuti di coda per assicurarsi questa prelibatezza. Ma ora non è più così. «Dopo pranzo, in tre ore , avremmo venduto 15 coni" ci dice quasi sconsolato l’uomo al bancone. La pandemia colpisce ovunque e loro lo sanno. Entrati nel locale, pare che il mantra sia vivere alla giornata. "La crisi è generale, lo sappiamo: anche a Spezia è un disastro. Staremo a vedere e speriamo di non esser chiusi come tigri in gabbia". Andiamo avanti. Nella spiaggia libera dagli onnipresenti ombrelloni, due coppie si rilassano, davanti allo scoglio un pescatore aspetta che qualche preda abbocchi all’amo. Procedendo verso il paese vecchio, si susseguono i bed and breakfast ed i negozi chiusi. I souvenir – calamite, barche, pesci, balene di legno – ci guardano dalle vetrine in attesa della prossima stagione. Nella galleria pedonale, dove qualche vandalo ha spaccato il vetro delle nicchie che custodiscono piccoli gioielli di arte ed artigianato locale, sembra ci sia il coprifuoco e anche dopo esser passati sotto il ponte della ferrovia, il silenzio resta assordante: forse, dopo l’impatto visivo, è questo il senso che viene maggiormente stravolto dagli effetti del coronavirus. Stop al vociare, stop ai richiami delle guide, alle risate, ai decibel degli americani. Anche qui, qualche coraggioso ristoratore ci prova: troviamo ancora tavolini apparecchiati, la musica sparata dal bar più amato per gli aperitivi in paese rompe, finalmente, la cortina della quiete assoluta. Nessuno brinda, ma per un attimo sembra di ritrovare un po’ di normalità.