Omicidio Corini, "Marzia non ha ucciso il fratello"

Ne è convinto il primario di Pisa. "Metterei due mani sul fuoco"

Marzia Corini

Marzia Corini

La Spezia, 4 febbraio 2020 -  Non aveva esitato a metterci subito la faccia, a ridosso dell’arresto per omicidio volontario, nel febbraio del 2016: «Metterei la mano sul fuoco per Marzia Corini: non ha ucciso il fratello ma si è preoccupata che non soffrisse di fronte ad una morte imminente. Mi giocherei il posto sulla sua innocenza», disse al cronista.

Ieri ha rilanciato, dopo aver visto con i suoi occhi quello che, poco prima, non aveva potuto leggere e commentare in aula dove era stato interrogato nelle vesti di testimone della difesa: «Ora ce ne metterei due di mani....». Parola di Paolo Malacarne, 61 anni, primario dal 2008 del reparto di Rianimazione dell’ospedale di Cisanello (Pisa) dove Marzia aveva lavorato prima di licenziarsi e spiccare il volo nei ranghi di Medici senza frontiere.

A rafforzare le convinzioni sono le due analisi, sfalsate sul piano temporale, sull’ossigenazione del sangue effettuate nella mattinata del 25 settembre 2015 a domicilio da un infermiere dell’Asl, il giorno della morte dell’avvocato malato terminale, sottoposto a sedazione palliativa e poi spirato in tarda serata. Le analisi sono agli atti del fascicolo. «I valori certificati quel giorno, insieme al quadro clinico riferitomi da Marzia sulla crisi respiratoria e ai pregressi accertamenti radiologici sull’avanzamento del tumore, dimostrano come la vita di Marco Corini fosse appena un filo; questione di ore, di uno o due giorni, e sarebbe spirato. Con la sedazione palliativa è avvenuto senza sofferenza».

La sedazione col Midazolam ha accelerato la morte?

«La sedazione da protocollo non accelera la morte».

Nel caso specifico?

«Il dosaggio che mi è stato rappresentato da Marzia non avrebbe avuto effetti letali neanche per un gatto...»

Cioè?

«Una iniezione di un milligrammo in bolo e il resto della fiala da 15 milligrammi rilasciato via flebo nella soluzione fisiologica non poteva sortire l’effetto di accelerare la morte».

Marzia disponeva però di tre fiale, rubate in reparto...

Anche inserendo tutto il contenuto nella flebo la morte non sarebbe sopraggiunta prima del suo divenire indotto dal quadro clinico e anatomico».

In caso di overdose in vena? «In quel caso sì. Una morte immediata. Ma dalle mie conoscenze, non c’è stata alcuna overdose in vena».

Due mesi dopo il decesso Marzia le disse, in lacrime, travolta dal senso di colpa, che era stata lei ad uccidere il fratello, come se lo spiega se la ritiene innocente?

«Il senso di colpa veniva la lontano: per non aver indotto il fratello a fronteggiare il tumore con un intervento invasivo quando era ancora in tempo. Già altre volte era capitato, in reparto, che, parlando con me, si assumesse responsabilità che non aveva, per il semplice fatto di essere affezionata ai pazienti».

Nel giorno del decesso dell’avvocato, sarebbe dovuto andare a casa sua il notaio...

«Ho letto. Ma, quanto a Marzia, le mani sul fuoco le metterei anche per un’altra circostanza oltre al riconoscimento dell’altissima professionalità...»

Cioè?

«Non aveva alcun interesse per il denaro; lo dimostrano la partecipazione alle missioni umanitarie da volontaria».