Ordinanza... ci risiamo. É di nuovo la solita storia – o quasi – e anche questa volta, nessuno si è preso la briga di raccontargliela. Un nuovo provvedimento comunale si è ’abbattuto’, lo scorso giovedì 7 dicembre, su gestori e titolari dei locali spezzini, trovandoli completamente attoniti. Il divieto riguarda la vendita per asporto fino al prossimo 8 gennaio, dalle 18 alle 7, di bevande alcoliche e di qualsiasi altra bevanda in contenitori di vetro e di metallo. Somministrazione e consumo sono consentiti solo sul posto, all’interno di esercizi pubblici o artigianali e di circoli privati autorizzati, comprese le aree di pertinenza.
E’ l’ultima ordinanza in ordine di tempo e in materia di pubblica sicurezza firmata dal sindaco della Spezia Pierluigi Peracchini e diretta al contrasto dell’abuso di alcol e della dispersione di contenitori nella zona del centro storico. E se il provvedimento ha subito trovato risposta pronta da parte di alcune associazioni di categoria (nella pagina a fianco raccontiamo il dibattito scatenato e anche le correzioni in corsa apportate dall’amministrazione), le risposte hanno invece faticato a trovarle i diretti interessati. "Come? Un nuovo divieto?". È sorpreso Jordan Alexandros, titolare di ’La Guarida’, in via San Martino della Battaglia, a due passi dalla centrale piazza Beverini. "Un’ordinanza così – commenta – penalizza fortemente i locali. Io, per esempio, ho un piccolo bar che non mi permette di ospitare molti clienti. Tra l’altro, pensandoci, potrebbe innescare un effetto contrario alle intenzioni perseguite: i ragazzi, infatti, potrebbero essere spinti a fare più tappe e più bevute in bar differenti, anziché permanere a lungo sorseggiando, in piedi, lo stesso drink con gli amici. Direi – conclude – che più che un divieto servirebbe buon senso e misura". Buon senso e soprattutto educazione al bere per Stefano Zappelli, titolare del locale ’Distrò’ in via Marsala 8. "L’ordinanza – confessa – l’ho letta fortunatamente proprio questa mattina grazie a un articolo mandato da un amico e questo purtroppo perché il dialogo diretto con le istituzioni preposte da qualche tempo è venuto meno. Per me – sostiene –, ordinanza o no, le cose cambiano poco. Infatti quando si serve da bere, lo si fa convinti che le consumazioni avvengano nelle nostre pertinenze. Ma nel concreto non è possibile sapere, controllare ed eventualmente trattenere le persone. La chiave sta nell’educare chi beve e chi vende da bere. Offrire, infatti, giri di ’shottini’ sottocosto non è un modo responsabile e ne snatura anche la cultura. Il Comune potrebbe fare qualcosa in più, creando per esempio tavole rotonde con noi titolari e gestori di locali. Facciamo rete!". La partita si gioca tra chi dall’ordinanza non è particolarmente toccato perché dispone di molti tavoli, e chi, invece, i tavoli se li è visti togliere e nell’asporto ha un po’ di respiro. "Non sapevo del divieto – dice Matteo Centofanti di ’Viva la Vida’, in piazza Sant’Agostino –. Noi, non lavorando con l’asporto ma prevalentemente con il servizio al tavolo, non ne risentiamo ma penso che sia un danno economico per chi, al contrario, ha poco spazio".
Francesco Zangani è titolare della birreria ’Joy’s Club’ di via Mazzolani 23. "Anch’io non sapevo nulla – sorride amaro –. Già per l’ordinanza estiva abbiamo individuato zone di pertinenza in cui paghiamo il suolo pubblico. Poi ci siamo visti ridurre i tavoli esterni e le nostre richieste di concessione di altri due tavoli non sono state accolte. In questa situazione, l’asporto diventa l’unica possibilità. Si deve pur sopravvivere". "Di nuovo un’ordinanza? – chiede Virginia Gorlandi del bar ’Paradise’ di via Gioberti –. Certo che ci penalizza, e la fascia oraria anticipata alle 18 è la mazzata. Non sarà la soluzione perché, tanti si procureranno alcol nelle periferie o altrove".
Alma Martina Poggi