
Dalla tutela e valorizzazione del mare dal punto di vista ambientale ed economico allo sviluppo del sistema portuale e delle vie del mare; dalla promozione turistica agli incentivi per la pesca alle attività marittime. E poi la valorizzazione del Demanio, lo sfruttamento delle risorse energetiche, la gestione dei rifiuti, la transizione ecologica e la promozione del sistema-mare italiano a livello internazionale. C’è questo e molto altro nelle oltre duecento pagine che compongono il Piano del mare, lo strumento di programmazione che per la prima volta unisce in un unico documento le linee guida di sviluppo strategico di tutte le filiere dell’economia marittima.
Lo ha approvato lo scorso luglio il Cipom, il comitato interministeriale per le politiche del mare presieduto dal ministro Nello Musumeci ed è diventato operativo con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dello scorso 23 ottobre. Il piano avrà cadenza triennale e sarà valido fino al 2026. Un passo avanti, viene definito un po’ da tutte le componenti interessate, anche se si tratta di un documento di indirizzo e quindi in larga parte e non immediatamente attuativo. E’ un fatto però che si tratta di un significativo progresso verso quell’auspicata gestione unica coordinata della risorsa da parte di un unico ministero del Mare, una realtà non compiutamente realizzata visto che, a dispetto del nome, molte competenze sono attualmente frammentate fra numerosi dicasteri.
Il piano è il frutto di un qualificato gruppo di lavoro di cui facevano parte, con i rappresentanti di vari ministri, componenti del Comitato esperti e stakeholder dell’area marittima per acquisire gli elementi informativi necessari alla individuazione di eventuali criticità e, conseguentemente, elaborare possibili soluzioni per un rilancio complessivo della blue economy. Vastissimi gli ambiti delineati dal piano che è preceduto da una nota di presentazione del Cipom. Il documento programmatorio si sviluppa "intorno a sedici direttrici, riguardanti gli spazi marittimi, le rotte commerciali, i porti, l’energia proveniente dal mare, la transizione ecologica dell’industria del mare, la pesca e l’acquacoltura, la cantieristica, l’industria armatoriale, il lavoro marittimo, la conservazione degli ecosistemi e le aree marine protette, la dimensione subacquea e le risorse geologiche dei fondali, il sistema delle isole minori, i turismi e sport del mare, i cambiamenti climatici, la cooperazione europea e internazionale e la sicurezza".
Le materie sono numerose e molte riguardano da vicino realtà importanti della blue economy sviluppate in un territorio circondato da più di 7.500 chilometri di coste (di cui 3.850 insulari) e da 155.000 chilometri quadrati di acque marittime territoriali. Ovvio che anche Spezia sia direttamente interessata, basti pensare al turismo ’marino’, alle imprese della logistica, alla cantieristica, ai nuovi carburanti o alla mitilicoltura, per la prima volta inseriti in un contesto omogeneo di sviluppo. Per non parlare della subacquea, alla luce della nascita – peraltro non ancora annunciata ufficialmente – del Polo coordinato dalla Marina militare e dell’alleanza strategica tra i due colossi Fincantieri e Leonardo, certificata dal recente memorandum volto soprattutto alla difesa del sistema delle infrastrutture underwater.
Certo, il Piano del mare non risolverà tutti i problemi della blue economy, sui contenuti del quale alcune realtà sindacali, come la Cgil, hanno sollevato qualche riserva, legata per esempio alla "mancanza di interventi qualificati per migliorare la qualità del lavoro marittimo e portuale sia sull’adeguamento della natura giuridica delle Autorità di sistema portuale". Tutti concordano comunque sul fatto che un primo significativo passo nella direzione della gestione coordinata della risorsa mare sia stato compiuto.
Franco Antola