
Catene davanti ai vicoli per impedire l’accesso agli angoli più ’intimi’
’Non puoi comprare la felicità. Ma puoi comprare un gelato. Ed è praticamente la stessa cosa’. Il ’meme’ delle cremerie penzola sopra il bancone, incorniciato nel finto mogano e affacciato direttamente sulla strada. E come potrebbe essere diversamente? Manarola ha sempre più l’aspetto di un veliero intrappolato dentro alla bottiglia del bettoliere. Un gingillo fragile. Una bomboniera da mensola. Un souvenir da dimenticare in un angolo, sull’ultimo ripiano della libreria. E chi l’ama davvero si rammarica al pensiero di un passato ormai lontano. Anche i modernisti più incalliti fanno fatica a non rimpiangere la mitica era del pre boom: quando per le viuzze strette tra intonaci malmessi e selciati rattoppati si respirava, è vero, un vago olezzo di scarichi fognari a cielo aperto, ma i gozzi dei pescatori tirati alla secca non servivano soltanto a fare da scenografia ai selfie dei crocieristi e le botteghe mica si chiamavano per forza ’Burrasca’, ’Salsedine’, ’Cambusa’ e via dicendo. Ora che per raccontare Manarola si fatica perfino ad utilizzare i più banali luoghi comuni della narrazione giornalistica – qua, tanto per fare un esempio, la famosa ’gente del posto’ non esiste più, o quasi, risucchiata nel gorgo del business dell’accoglienza – vedere un gatto gonfio e cisposo stravaccato al sole e torturato da una bimbetta tutta trecce fa quasi tenerezza. Sembra una diapositiva da un tempo sepolto all’ombra di ammiccanti insegne tutte uguali: l’espressione più ricorrente qui è ’stile italiano’ e vale per le chincaglierie, come per i maglionetti in cotone traforato e le bottiglie di limoncello.
Il tanto vituperato afrore da friggitoria è dappertutto, per carità, appiccicoso come una carta unta, ma americani, spagnoli e francesi non sembrano farci caso. Si portano a spasso un cartoccio di calamari rigorosamente ’take away’ per dieci euro, mentre se si buttano dentro a una tavola calda devono mettere in conto almeno il doppio per un calice di albarola, una bottiglia di acqua del rubinetto e un antipasto con quattro filetti di acciughe e un ciuffo di valeriana.
Certo, poi, la bellezza è nata qua, come Venere dal mare. Ma non è quella immortalata nei rotocalchi delle agenzie di viaggio. Non è quella del finto modernariato dei negozietti tutti uguali, dove un poster del borgo viene venduto, "senza cornice", a quattro euro e cinquanta. Un affare che i vacanzieri non devono aver colto al volo se la proprietaria – un’australiana elegante e asciutta – ha sentito il bisogno di appendere in vetrina un cartellino col sottotitolo: ’4.50... Not 450’. Evidentemente c’è chi pensa che 450 euro per una riproduzione in stile art decò di Manarola sia una cifra accettabile. Lei allarga le braccia, sgomenta: "Sono arrivata qua e mi sono fermata per amore. Qui ho avuto i miei figli e ho aperto il negozio di souvenir, ma con l’età che avanza pensare di restare mi è quasi insopportabile. Dipendesse da me caricherei tutto su un container e partirei col primo aereo".
La bellezza a Manarola c’è. E’ palpabile. Ma la trovi nei vicoletti alti, quelli tutti scalinate e senza punti luce, dove i pochi residenti si rintanano con le braccia cariche di sporte e la testa bassa: angoli di silenzio e di niente, gelosamente custoditi. Per impedire l’accesso ai ficcanaso, e assecondando ligustiche inclinazioni, c’è pure chi tira improbabili catene da un lato all’altro del carrugio e chi si difende dietro il muso incarognito di un pastore tedesco che mostra i denti e strizza il naso: ’Attenti al cane’ recita il finto avvertimento, ma dietro un cancelletto mezzo arrugginito trovi soltanto un affastellamento di terrazzini rubati, un palmizio striminzito e limoni veri, a grappoli, non quelli, finti, delle ghirlande che cingono le porte, al piano. La bellezza è nei battenti tristemente sprangati della cantina di Mario Andreoli, l’inventore del presepe luminoso più grande del mondo, morto a dicembre dell’anno scorso. La bellezza è nella faticosa salita che porta al cimitero e in quell’epitaffio dedicato al mondo intero che domina punta Bonfiglio e guarda le onde dall’alto. Perché aveva ragione Cardarelli: è nella "rosea tristezza" della sera che si ama davvero Manarola.