
di Marco Magi
Il famoso pianista Roberto Cappello eseguirà, al Teatro degli Impavidi di Sarzana, un programma dedicato a Liszt, intitolato ‘Il viaggio mistico dell’anima’. Sarà protagonista, martedì alle 21, della nuova tappa di ‘Concerti a Teatro’, rassegna promossa e organizzata dalla Fondazione Carispezia.
Partiamo da lontano, cosa è cambiato per lei essere un enfant prodige?
"Spesso mi interrogo su questa precocità – afferma il maestro – – Devo dire che, in modo molto generoso, ho meritato quell’appellativo, nel senso che ormai, andando su Youtube o nelle varie trasmissioni televisive, non è difficile osservare bambini dotati di un talento particolare. Poi mi chiedo, ma è vero talento? E quindi compio una comparazione tra la realtà di oggi e quella di decenni fa. Essere stato un enfant prodige negli anni 50-60 era un’eccezione, oggi non più. Con i moderni media, la comunicazione è diventata più possibile: questo permette una maggiore conoscenza e una più spiccata consapevolezza".
Sarebbe cambiato qualcosa se avesse intrapreso il viaggio più tardi?
"Non saprei. È un po’ come quando mi viene chiesto sullo scoccare della scintilla. Da quando ricordo ho sempre suonato. Non mi sono mai posto il problema del cosa farò da grande. È stato così naturale il suonare, non possedevo ancora la facoltà del linguaggio da bambino e già suonavo".
Ha mai contato i suoi concerti? A quota tremila?
"Credo, in realtà, di averla abbondantemente superata".
Qual è stato quello più emozionante?
"Diversi mi sono rimasti nel cuore, cercare in un mazzo così cospicuo risulta complicato. Anche perché spesso ritorno nei luoghi dove ho già suonato, negli stessi teatri e auditorium. Seppur siano cambiati, così come è accaduto a me".
A Sarzana arriva comunque per la prima volta?
"Sì, anche se passo spesso dalla provincia spezzina, transitando poi dalla Cisa".
In quale concerto non si sentiva, per qualche stato d’animo particolare, ma ha comunque deciso di esibirsi?
"Mi sta riportando alla memoria una giornata del 1976, quando ci fu il terremoto nel Friuli. Ero lì per un concerto in zona. Pordenone. Nel pomeriggio, tentavo di rilassarmi nel giardino dell’albergo e non riuscivo a trovare la posizione giusta. Mi sentivo strano, con un senso di disagio inspiegabile. Poi, accadde il tragico evento, e se avessi potuto, avrei volentieri soprasseduto. Stavo suonando il Chiaro di luna di Beethoven, proprio all’inizio, ho notato un’oscillazione della tastiera e mi sono detto ‘Cosa sta succedendo?’. Subito ho pensato ad un mio malessere, ma purtroppo non era così".
Ci spiega il programma di martedì in poche parole?
"La scelta del brani è finalizzata ad un percorso intimo dell’anima, di riflessione e meditazione in un momento, il nostro, in cui accadono tante cose non piacevoli. Un periodo di grandi difficoltà, di crisi spirituale, tra l’altro lo propongo nell’imminenza del periodo pasquale, è l’occasione per ripiegare su noi stessi, di riflettere un po’ sul significato della nostra esistenza".
Durante una sua performance, le è mai capitato di sentire squillare un cellulare in sala?
"Capita tutte le volte, ormai non ci faccio più neppure caso. Certo, la gente sta diventando più educata, magari grazie all’annuncio iniziale degli speaker del teatro".
Un momento da ricordare?
"In un concerto al vecchio Petruzzelli di Bari, a circa metà del programma, si sono spente le luci, un blackout totale, non sapevo quanto sarebbe durato e ho continuato a suonare. Dopo alcuni secondi si sono riaccese ed è scattato un applauso fragoroso, sebbene... non fosse il momento".