
L’artista Sergio Tedoldi
All’angolo fra via Mameli e via Della Torre è impossibile non farsi catturare dalle vetrine e dalle porte variopinte: uomini e donne, corpi e visi, declinati in ogni modo e colore, fra sculture e dipinti, vetri compresi. È la targa alla porta che racconta, con un solo cognome, dove ci troviamo: Tedoldi. All’anagrafe Sergio. Artista che a Pegazzano è nato e cresciuto e che qui, nonostante viva nella perla del Golfo, Lerici, torna per lavorare e non solo. "Capita che mi fermi nello studio anche a dormire" racconta sorridendo, con quei baffi, gli occhi chiari e il cappello da marinaio che lo fanno sembrare un personaggio uscito dalla matita di un illustratore. Che non dimostra lontanamente le sue primavere. Certo è che questi stanzoni altissimi e colmi di quadri e sculture sono il suo regno.
Il regno del re di Pegazzano, che al suo quartiere ha dato spirito e opere. "Ce ne sono due: la statua qui vicino – nella piazza-giardino sopra la pista ciclabile, – e la fontana dal Leon d’Oro. Le ho volute fare, non ho mica chiesto a nessuno. Ecco perché non ce l’ho fatta ad allontanarmi: mi sono accorto che tutti quelli che lo facevano, poi tornavano e venivano da me e mi parlavano dei vecchi tempi e della luce di qui: ricordavano quando erano ragazzi. A me non succede, perché la luce – intesa come ricordo – la vedo tuttora. Tutti loro hanno avuto coraggio di andar via e hanno fatto fortuna, ma per me la cosa non aveva senso: avevo il mare a cinque passi, Biassa e le Cinque Terre a dieci e quel canale bruttissimo in cui ho giocato. Io gli dicevo: ‘Avete fatto i soldi, io no, però sono a Pegazzano’. Sono nato in via Baracchini, sfollato a Fivizzano, rientrato in via Filzi, poi via Rismondo, via Della Croce, via Sant’Eutichiano e ora sono qui. Faccio parte, ormai, dei muri". Che sia re o sindaco o imperatore di Pegazzano, Tedoldi ha dato la sua arte al quartiere non solo con il sole-fontana e quell’omone scolpito a cui qualche buontempone ha legato una bottiglia di birra in una mano: è stato uno degli artefici della mitica stagione dell’Arcimboldo. Ancora una volta senza chiedere permesso. "Ho quasi sfondato la porta, era vuoto e sono entrato. Insieme a dieci artisti, fra cui mio fratello Giorgio, abbiamo creato queste botteghe, con diversi laboratori. Ho inventato il suo nome, legato all’Arci, perché era un circolo, e ispirandomi al pittore Arcimboldo e ne sono stato il presidente, autonominato. C’erano dei ragazzi che avevano suonato lì: ho parlato con loro mi hanno detto che le utenze erano altissime. Sono entrato, gli spazi erano perfetti. È durato per 7-8 anni, è stato bellissimo. Poi il Comune chi ha chiesto 25 milioni di affitto". E questo è, forse il racconto più bello. "Tedoldi, ha qualche altro aneddoto per noi?" "Nessuno in particolare, quando vive qui, tutti i giorni sono un aneddoto".
Chiara Tenca