Lettera di don Enzo alla città "C’è troppa indifferenza Iniziamo a parlare di persone"

Il prete grossetano chiede più coinvolgimento ai grossetani sugli ultimi fatti del mondo "Guerra in Ucraina, terremoti e tragedia di Cutro: quelle persone sono state lasciate sole".

Lettera di don Enzo alla città  "C’è troppa indifferenza  Iniziamo a parlare di persone"

Lettera di don Enzo alla città "C’è troppa indifferenza Iniziamo a parlare di persone"

L’indifferenza. Che a Grosseto "regna sovrana" ed è diventata la "cifra dell’agire quotidiano". Inizia così la lettera aperta che don Enzo Capitani "Prete a Grosseto e cittadino del mondo" ha deciso di scrivere alla cittadinanza. "Sono tornato ormai da qualche tempo dal mio soggiorno in alcune missioni del Kenya – inizia don Enzo – e quello che mi colpisce è la conferma che qua l’indifferenza regna sovrana. Tre sono i fatti che la nostra indifferenza è riuscita a fagocitare e a far sparire in questi tempi: La guerra in Ucraina che solo la nostra paura di esserne coinvolti tiene viva. Ma chi si ricorda ancora dei milioni di persone che sono state costrette a lasciare la loro terra? Anche noi a Grosseto ne abbiamo accolte alcune centinaia, siamo stati generosi, abbiamo aperto le nostre case… Ma dopo qualche settimana ci siamo stancati e abbiamo deciso che altri se ne dovevano interessare e quindi provvedere". Poi "Il terremoto in Siria e Turchia. Qui abbiamo fatto peggio. E così siamo diventati giudici inappellabili delle sofferenze altrui, stabilendo di chi interessarci, di chi parlare o tacere". E per finire, secondo don Enzo "la tragedia di Cutro, perché di questo si tratta e non di un naufragio. Abbiamo versato lacrime in abbondanza davanti alle bare e ai corpi dei bambini. Abbiamo deciso di trasformare piccole scarpe, piccoli giocattoli portati dal mare, in reliquie. Ma a che cosa servono le reliquie se non a tramandare la memoria di un fatto? E di queste reliquie in questi tempi ne abbiamo molte". Evidentemente, aggiunge don Enzo "c’è qualcosa che non torna ed è il fatto che l’indifferenza ha asciugato le nostre lacrime e sparso al vento le parole e le proposte politiche pronunciate al momento. Che fare? Il mio personale andare per missioni - India, Bolivia, Kenya - mi insegna che io sono parte di una umanità; che niente mi è estraneo ma tutto mi appartiene. E come scriveva John Donne: "Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente". Poi chiude: "Il confronto con altre culture, religioni, usi e costumi mi insegna che è importante cambiare il nostro linguaggio abituato a rinchiudere gli altri in ruoli. Dovremmo smettere di dire migranti, senza fissa dimora, invisibili, sfrattati, carcerati. Questa modalità ci fa sentire diversi e distanti da loro, esasperando i conflitti; l’identificazione con il termine persona, li rende invece uguali a me qualunque situazione gli altri vivano diversa dalla mia, e la contaminazione e il coinvolgimento, in questo modo, sono resi più fattibili e più reali. L’alternativa è inevitabilmente la solitudine e per uscirne non conosciamo altro che la violenza e il conflitto".