Fatica e sostanza La vita da mediano di ’Picchiabeppe’

‘Cagnaccio’ in mezzo al campo e anche in panchina. La missione dei gregari che non amano il superfluo

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Non date retta agli accostamenti snob: la sua vita da mediano Ligabue non può averla scritta per Oriali. I mediani son gente oscura, fatica, sacrificio e sgropponate per gli altri "a coprire certe zone e giocare generosi". Gregari di fila, che non possono appartenere per definizione alle grandi squadre del nord e nemmeno vincere mondiali. Una vita da Beppe Iachini, ecco il senso profondo di quella canzone, con buona pace di Oriali, ma anche di Tardelli, Marchisio & compagnia vincente. Una vita da mediano e dunque una vita a recuperare palloni per chi è nato senza i piedi buoni e per questo per emergere deve lavorare sui polmoni e sulla grinta senza l’idea finale del successo: è o non è l’identikit di "Cagnaccio", come lo chiamavano ai tempi di Ascoli, o di "Picchiabeppe", appellativo col quale Firenze lo invocava quando c’era bisogno che la partita diventasse un incendio e di piromani adatti alla causa come lui non ce n’erano.

Beppe Iachini, il prototipo della medianità. Uno senza una visibilità mediatica alta, protetto, quasi nascosto da quel cappellino sempre calzato in testa che, ha spiegato, gli serve a proteggersi da un difetto agli occhi ma che è invece assunto a simbolo di un modo di vivere il pallone, anti luminoso, respingente i riflettori del proscenio, quasi all’oscuro. In fondo i mediani non vincono le Coppe dei Campioni, possono vincere i campionati di serie B, quelli sì. E Picchiabeppe ne ha vinti ben 4 nella sua carriera di allenatore, con il Chievo, con il Brescia, con la Sampdoria e con il Palermo, non riuscendo comunque ad accreditarsi al punto che una volta, dopo aver conquistato la A, non ci si fidò di lui e si chiamò un altro ad allenare la squadra nella massima serie. Successe a Genova lato blucerchiato quando si stabilì che l’altolocato Ciro Ferrara desse più garanzie di lui: i pregiudizi della vita oltre che che dello sport.

Una vita da mediano, anni di fatica e botte senza quasi mai il gusto superfluo del piacere. Ligabue quella canzoncina deve averla scritta per forza per Iachini. Uno che viene liquidato dopo un pareggio a Parma (nonostante 8 punti in 7 partite) per incapacità di innescare il sogno e poi, quando viene richiamato per necessità imprevista, non dice una sola parola di rivincita o di ripicca. Dice solo: obbedisco, come fanno i caporali di giornata di fronte all’ufficiale. In fondo i mediani sono anche loro gente di truppa. Sanno che come missione devono rincorrere i numeri 10 cercando di portare via loro la palla e, quando succede, sanno anche che i 10 non li rincorreranno a loro volta, perché la fatica per i baciati dalla grazia è un optional, qualcosa che si può evitare a piacimento.

Per i mediani, invece, è ragione sociale. Tutto ciò può non indirizzare la vita? Anche il calcio di Iachini è per conseguenza un calcio mediano. Un calcio dove si pressano i demoni interiori per recuperare ogni pallone possibile, quasi fosse una missione. Un calcio dove si lavora ogni giorno sui fondamentali per migliorare ciò che natura non ha donato.

Un calcio senza giochesse superflue e senza quell’idea di approccio alto al football che spesso è fuffa ma in stagione va tanto di moda. Un calcio senza l’idea del guizzo, insomma, che porta a girovagare lontano dalle metropoli calcistiche. Il baedeker di Picchiabeppe in panchina parla per lui: Cesena, Vicenza, Piacenza, Brescia, Verona lato Chievo, Siena, Palermo, Udine, Sassuolo e Empoli prima di Firenze, punta più alta della sua circumnavigazione della penisola calcio. Certo, può capitare, come successe a Furino, di fare un tunnel a Sivori in allenamento, ma è l’eccezione. Anche Iachini la sua prima panchina la conquistò a spese di Prandelli, anno 2001, località Venezia, fautore della cosa Maurizio Zamparini, che è un po’ come fare un tunnel a Baggio, suo vecchio compagno di squadra. Ma è un caso. Perchè loro, gli allenatori mediani, servono ad altro.

Loro sono un po’ come l’sos casa, gente che non disegna architetture o progetta impianti ma è chiamata ad aggiustarli quando questi non funzionano e pure con urgenza. Ecco: Iachini in questo senso è un sos Fiorentina. Un signore che ritorna a cercare di aggiustare uno spogliatoio crepato per non fare crollare tutto l’edificio. Compito ingrato e per forza temporaneo. Ma che oggi non può essere lo stesso applaudito per il senso dello stare lì, sempre lì, lì nel mezzo, finché ce n’è. Di questi tempi, ahime, c’è bisogno soprattutto di questo.

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