
di Emanuele Baldi
Dell’odore forte di quella pasta d’erba e fieno non c’è più traccia. Non ce n’è del tocco gentile degli zoccoli inzuppati nella panna della terra, dei nomi dei cavalli snocciolati come Ave Marie laiche dagli altoparlanti nell’aria vuota delle Cascine, delle schedine strappate, dei berci strozzati, dei mozziconi pesticciati, dei denti affondati nelle dita per mordersela tutta quell’adrenalina dell’ultimo trotto che poteva valere un rotolo da diecimila da infilarsi in tasca. C’è altro che il silenzio distratto e senza tempo ora qui. Ruderi, mura scorticate. Eppure l’ippodromo della Mulina è stato un mondo. Un mondo analogico che resiste ormai giusto in qualche foto e appesa alla parete di una scuderia, o in qualche ricordo dei trotti epici di Tornese, o negli aneddoti degli scommettitori. Ricorda Ermanno Ferrini, 72 primavere, fiorentino d’origine controllata e garantita - autore tra l’altro di ’Ho tanta racconti, su Firenze, me e la Fiorentina’ (Nicomp letture), scarrellata di storie di una città ruggente e analogica - che "quando c’erano quei nebbioni tremendi e dalle tribune non si vedeva nulla c’era qualche driver che fermava il cavallo, aspettava che gli altri avessero finito il giro e poi ripartiva primo". Perché in fondo all’ippodromo - "Vestiti perbene si va alle corse, mi dicevan da piccino" - realtà e fantasia, nel senso di sogni spesso si scambiavano i piani in un mondo surreale e insieme drastico fatto di nobili spiantati, visionari del trotto, “ben informati“ e disgraziati con quella voce roca figlia di una toscanità antica, impastata di sigarette e caffè. Un mondo fatto di piccole ascese e drastiche risalite che mescolava in una macedonia perfetta scaltrezze rurali e disincanti urbani. Sette corse. A volte otto. "Si andava lì alle tre di pomeriggio e si faceva buio. Ma i cavalli si studiavano bene. Non era facile capire su chi scommettere". Tutto si sgretola alla fine degli anni ’90, anche se i reumatismi dell’ippica erano già cominciati da qualche tempo, quando dilagano le scommesse digitali, il calcio in agenzia, internet.
L’ippodromo perde pezzi, letteralmente e fa da palco al suo ultimo trotto il 27 marzo del 2012 facendo calare il sipario su una storia iniziata nel 1891. "Cupolone", Ponte Vecchio", "Duomo", corse che hanno cadenzato una storia grande alla quale da ultimo si affacciò anche il mitico Varenne. Il fascino dei cavalli, come racconta lo storico Cosimo Ceccuti, ha sempre accomunato adulti e bambini, finanche grandi del Risorgimento: Re Vittorio Emanuele II, "pretese" per risiedere in Firenze capitale la costruzione in Porta Romana delle scuderie per i suoi amati cavalli. Oggi l’area, più volte oggetto di progetti e speranze (e anche tanti veleni per l’ abbandono dei suoi manufatti) è in cerca di nuova vita con calendari di eventi, specie nei mesi caldi, nei suoi oltre quindicimila metri quadri. Lo spazio non manca. Il profumo di un tempo però sì e quello non lo riporta nessuno.