di Giuseppe Rossi
Quella che doveva essere la tranquilla ripresa di uno spettacolo di successo si è rivelata invece una strenua battaglia contro la sfortuna, che ha rischiato di far naufragare questa ripresa della Traviata al Teatro del Maggio nello stesso allestimento varato un anno e mezzo fa. La rinuncia a Placido Domingo, dichiaratosi indisposto poche ore prima dell’alzarsi del sipario, ha costretto a convocare di fretta Amartuvshin Enkhbat che senza prove ha comunque saputo inserirsi perfettamente nell’esecuzione e cantare Germont con la morbidezza e il sontuoso legato che ben conosciamo risultando il vero trionfatore della serata.
Come se non bastasse, durante la cabaletta del secondo atto la voce di Francesco Meli, che fino a quel momento aveva ripetuto il suo eccellente Alfredo, si è più volte incrinata e c’è voluta tutta la sua bravura per portare in fondo la recita senza danni ulteriori.
La maggior curiosità poggiava comunque sulla nuova Violetta di Aida Garifullina, subentrata alla sfolgorante Nadine Sierra, che nonostante una certa carenza di personalità, dopo un primo atto un po’ teso e insicuro, ha comunque saputo crescere di spessore e conquistare i favori del pubblico anche grazie alla notevole presenza scenica. Il resto della compagnia risultava in genere efficace fra le parti minori, con in primo piano le voci di Ana Victoria Pitts, Joseph Dahdah, Francesco Samuele Venuti e Matteo Mancini. Zubin Mehta, come sempre accolto da autentiche ovazioni, ha riproposto la sua lettura commossa e avvolgente dai tempi lentissimi bene assecondata dai complessi del Maggio e si è confermata anche la sostanziale tenuta dello spettacolo di Davide Livermore, ripreso da Stefania Grazioli, pur senza fugare le perplessità di fondo suscitate dall’improbabile associazione fra lo spirito della contestazione giovanile e della rivoluzione sessuale e i temi reali del capolavoro verdiano.