
Violenza sessuale
Arezzo, 29 marzo 2022 - Quattro anni e 4 mesi per violenza sessuale. Il dipendente della Asl, accusato di aver violentato una giovane donna negli uffici dell’azienda sanitaria in orario di servizio, è stato dichiarato colpevole. Non sono serviti documenti, elementi e testimonianze portati in aula dal suo avvocato Luca Bufalini. La sentenza parla chiaro nonostante l’imputato abbia sempre respinto la ricostruzione.
«Non c’è stata nessuna costrizione, solo contatto volontario», ha sempre detto, negando con forza l’accusa. Tanto da scegliere il rischio di un rito ordinario, con l’ombra di una pena pesante, invece di cercare di limitare i danni con un abbreviato o un patteggiamento. Ieri mattina la pm Elisabetta Iannelli, dopo aver ascoltato le parti civili, fra cui anche la Asl rappresentata dall’avvocato Giuseppe Nerio Carugno, ha chiesto sei anni e sei mesi.
Per il collegio dei giudici, presieduto da Filippo Ruggiero (nella foto), a latere Giorgio Margheri e Giampaolo Mantellassi, invece gli anni di condanna sono quattro. Una sentenza che ha sconcertato l’avvocato Bufalini e il suo assistito presente in aula. «Sono incredulo, non ho idea di come sia venuta fuori questa sentenza, credevo fermamente nella sua assoluzione; dopo aver letto le motivazioni ricorreremo in appello» ha spiegato l’avvocato. Cosa abbia portato alla formulazione della pena si saprà solo tra 90 giorni, termine entro il quale dovranno essere depositate le motivazioni.
Probabilmente però il collegio potrebbe aver tenuto conto di alcune attenuanti. La vicenda risale al 2019, teatro dell’accaduto gli uffici del distretto Usl di Camucia. Sia il dipendente quarantenne che la giovane ventitreenne, all’epoca impegnata nel servizio civile della Regione, sono originari della Valdichiana. «Mi è saltato addosso e mi ha stuprato», aveva raccontato la ragazza ai sanitari del pronto soccorso del San Donato cui si rivolse quasi subito.
Scattò il codice rosa e la denuncia. In udienza preliminare entrarono nel fascicolo i documenti relativi alle visite mediche. Ma anche le parole che la giovane, rappresentata dall’avvocato Edi Cassioli, pronunciò nell’incidente probatorio nel novembre 2019 e che ieri in aula hanno avuto il valore di prova. Oltre agli esiti di un test del dna (tracce biologiche trovate sugli indumenti della 23enne furono comparati con il dna dell’imputato).
Nel corso delle udienze sono stati numerosi i testimoni: colleghi, inquirenti, familiari della ragazza, i sanitari che la visitarono al pronto soccorso, ma anche consulenti della difesa che hanno portato riscontri oggettivi per mettere in discussione modi e tempi di quanto denunciato.
Quali? Assenza di lesioni particolari col tipo di atto sessuale e compatibili con un rapporto volontario, orari che non tornerebbero, nessuno sentì richieste di aiuto provenire dal bagno. Ieri i giudici hanno deciso, il rapporto sessuale non è stato consensuale, è stupro.