Simone Dall’alluvione alla litografia "Qui l’arte della vecchia Firenze è viva"

Da quasi 30 anni nel rione al timone del Bisonte fondato da Maria Luigia Guaita, partigiana e storica "Abbiamo perso artigiani, ma guadagnato creativi. Ma prima che il turismo ci scoprisse eravamo altro".

Se nel Dopoguerra a un ‘sanniccolino’ avessi detto che quel suo rione popolare, fatto per secoli di artigiani e barcaioli che a malapena riuscivano a mettere insieme il pranzo con la cena, sarebbe diventato uno dei quartieri più importanti dell’arte nel mondo, ti avrebbe mandato al manicomio di San Salvi. Eppure oggi tant’è. C’è chi è stato antesignano e benzina del motore che si sarebbe acceso di lì a poco, come la Fondazione il Bisonte. A raccontarci quella trasformazione è Simone Guaita, attuale presidente e abitante del rione.

"Il Bisonte fu fondata nel ‘59 da mia prozia Maria Luigia Guaita, partigiana in Giustizia e Libertà con Carlo Ludovico Ragghianti, uno dei più grandi storici dell’arte di Firenze. Maria Luigia ebbe l’intuizione di portare qui la litografia su pietra, quando ancora era una tecnica poco conosciuta; cavalcò poi tutta l’onda lunga di quest’arte e anzi la aiutò a svolgersi, perché grazie a lei vennero qua i tardo futuristi, come Ardengo Soffici e Carlo Carrà, stampò persino Picasso".

"Arrivò a San Niccolò nel ’65– aggiunge – e nel ‘66 ci fu subito l’alluvione: qua l’acqua fu altissima, oltre i soffitti, e tutto fu spazzato via; però diventò anche l’occasione per contattare artisti internazionali. Tra i molti, Henry Moore, con il quale dopo il lavoro andavano a cena a Forte Belvedere, così venne l’idea di fare una mostra in quel posto meraviglioso. La mia prozia tant’insistette con il sindaco Bausi che alla fine accettò. Si cambiò il volto della città: da quella mostra, Forte Belvedere venne dedicato all’arte".

Maria Luigia apre poi una scuola di specializzazione di incisione, tutt’ora eccellenza mondiale. Ma, spiega il presidente: "Se da una parte c’è una proiezione internazionale, dall’altra ce n’è una estremamente locale, perché con il quartiere è nata una storia d’amore fin dall’inizio; per il Bisonte, ma anche per me personalmente: sono arrivato al Bisonte 26 anni fa e da 20 a San Niccolò mi ci sono anche trasferito. Quando arrivammo, trovammo un borgo dentro la città: due strade, un rione piccolino eppure del tutto indipendente. ‘Si andava a Firenze’ scavalcando il ponte. Qua c’erano le botteghe: l’ortolano, l’edicola, la macelleria, i bar, le trattorie... E in due minuti a piedi si arriva sulle colline nel verde, questo ce lo godiamo ancora, mentre abbiamo perso questo tessuto di attività locali. Sono rimasti tanti ristoranti anche se stanno cominciando a soffrire".

"Se abbiamo perso diversi artigiani storici come restauratori, falegnami, mastri ferrai – dice ancora – però, abbiamo guadagnato in un artigianato di artisti, che qui hanno trovato la loro collocazione". "San Niccolò era storicamente un quartiere molto povero, di artigianato minuto, un quartiere difficile se vogliamo: questo ha lasciato un’impronta forte, quasi vernacolare, di rapporti umani, anziani molto caratteristici, affetti. La vecchia Firenze qui è andata più avanti di quanto si potesse sospettare e tutt’ora in certi angoli, come al circolo, qualcosa si assaggia ancora. Essere il meno conosciuto dei rioni del centro – conclude con un pizzico di malinconia – è quello che ci ha salvato: è stata l’isola dei dinosauri, quando poi ci hanno scoperto (i grandi flussi turistici, ndr) i dinosauri si sono estinti".

Carlo Casini

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