
Serristori, un altro reparto se ne va
di Manuela Plastina
"Basta alla politica del carciofo: salviamo il Serristori dal progressivo depotenziamento". Mario Bonaccini come presidente del Calcit Valdarno da tempo sostiene le attività del presidio sanitario e in particolare il DH onco-ematologico. Ha visto chiuderne i reparti per quasi due anni per vocarlo alla cura del Covid e poi non riaprire più il pronto soccorso. "Prima lo si è depotenziato ordinando alle ambulanze del 118 di non portarci più i pazienti durante la notte – ricorda -. Poi ne è stato dimezzato l’orario di apertura e infine si sono portati via i medici anestesisti-rianimatori e i posti letto della sub intensiva, determinando l’impossibilità operativa di una struttura di emergenza urgenza". Ormai, dice, "togliendo foglia per foglia come un carciofo, non è neanche più un ospedale, ma un semplice stabilimento ". Ora a essere minata è addirittura l’oncoematologia.
"Abbiamo scoperto casualmente che sono state prese decisioni allarmanti – dice Bonaccini – come dirottare pazienti ematologici dal Valdarno al Torregalli a Scandicci". Una distanza difficile per chi si deve sottoporre a dosi di trattamento terapico, senza contare le maggiori spese di trasporto e il tempo impiegato dagli accompagnatori. Non solo: la responsabile medico ematologa, ka dottoressa Melania Rocco, che vive a Figline "da settembre secondo l’Asl dovrebbe spostarsi a Ponte a Niccheri per 4 giorni a settimana, riservando al nostro DH solo il tempo residuo".
Il consiglio direttivo del Calcit ha deciso "di avviare una serie di azioni di contrasto a queste misure penalizzanti – spiega il presidente –. Abbiamo già avvisato politici e amministratori. Delle consuete risposte tranquillizzanti non sappiamo che farcene: finora le promesse non sono state mantenute, a partire dai Patti Territoriali del 2013 e dall’aver ignorato le 4000 firme raccolte per la riapertura del pronto soccorso".
Chiedono la permanenza della dottoressa Rocco a Figline e il ritorno al Serristori di sub intensiva e di rianimazione, "come garanzia per i nostri malati oncologici e come sicurezza per le sale operatorie". Ci si illude, conclude "di risolvere il problema della sanità con gli ospedali di comunità: se verranno davvero realizzati, la loro prevista gestione fa sorgere più di un dubbio sull’effettiva capacità di garantire un percorso riabilitativo efficace".