
Massimo Poli della Sartoria Teatrale (foto NewPressPhoto)
Firenze, 17 gennaio 2018 - Chiude dopo 158 anni di storia e dopo aver vestito le compagnia teatrali di mezza Italia. E’ la più antica di Firenze, la Sartoria Teatrale Fiorentina ed è un’istituzione per la città che vive da sempre di cultura, spettacolo, storia e artigianato. Dopo aver collaborato con tutti i più grandi artisti e i più noti registi del teatro italiano, Massimo Poli, l’anima del laboratorio, è costretto a calare il sipario sul piccolo impero, che oltre a custodire pezzi di storia che risalgono addirittura al ‘700 nasconde leggende e aneddoti che hanno fatto parlare i turisti di mezzo mondo. Massimo e i suoi collaboratori non hanno mai nascosto di aver avvertito ombre o aver annusato profumi inconsueti in quegli ambienti; mentre la storia racconta di due avventori che avrebbero visto delle figure maschili, vestite in stile retrò, riflesse allo specchio.
LA SARTORIA Teatrale Fiorentina è più di un laboratorio, con 300 metri quadri di spazio e le sue 14 stanze che si affacciano direttamente su piazza del Duomo. «Questa è stata la mia casa, ho passato notti intere a disegnare e cucire per consegnare il lavoro in tempo» si sfoga Massimo, mentre guarda gli oltre duecento scatoloni da portare via. E’ una chiusura che lascia l’amaro in bocca: l’attività vanta crediti per alcuni lavori da migliaia di euro in tutta Italia che non è riuscito mai a riscuotere.
«SONO costantemente in contatto con i soprintendenti e con i legali di varie compagnie e teatri ma non è servito a nulla. Non sono riuscito a pagare l’affitto in tempo e scattati i 10 giorni di ritardo ho ricevuto prima la risoluzione del contratto e poi la lettera di sfratto». E pensare che lo spazio di piazza del Duomo era diventata il tempio delle compagnie teatrali della città e lo stesso Massimo custodisce costumi, bozzetti e sceneggiature, alcune delle quali risalgono addirittura al 700. Tra questi anche quelli per il calcio storico fiorentino. «Dopo l’alluvione – torna indietro negli anni – non c’erano i soldi per sistemare quelli rovinati e la Sartoria ne creò di nuovi».
A MASSIMO oggi resta tanta delusione addosso. Per alcune collaborazioni che sarebbero dovute partire e da cui, senza motivo, è rimasto fuori. Per non essere mai stato riconosciuto come attività storica «perché – sono parole sue – sono un laboratorio e non un negozio e perché non viene riconosciuto l’inizio dell’attività della Sartoria ma solo il momento in cui l’ho rilevata io». «Ho provato a cercare nuovi locali – prosegue – ma in centro chiedono anche 4mila euro al mese, una cifra che un’azienda di nicchia come la mia non può permettersi. Spostarmi all’Osmannoro sarebbe come snaturare tutta la nostra tradizione. Il Teatro di Pisa mi ha offerto la possibilità di trasferirmi nei loro locali in maniera gratuita, ci sto pensando. Anche perché fino ad ora, nonostante l’impegno della consigliera Cristina Scaletti, nessuno è riuscito ad aiutarmi. Sembrano non esserci le condizioni e gli spazi per proseguire qui a Firenze. Chiudo con tanto amaro in bocca ma con la voglia di ricominciare».