BENEDETTO FERRARA
Cronaca

Rock tra via de’Bardi e Londra: "Debuttammo per 150mila lire. Oggi ascolto musica classica. Io e Pelù riuniti? Se si vuole..."

L’infanzia in Irpinia, poi in San Jacopino a Firenze prima della folgorazione per la chitarra "La prima dei Litfiba alla rokkoteca di Settignano. Piero? Meno ’talebano’ di me. Mai a Sanremo".

L’infanzia in Irpinia, poi in San Jacopino a Firenze prima della folgorazione per la chitarra "La prima dei Litfiba alla rokkoteca di Settignano. Piero? Meno ’talebano’ di me. Mai a Sanremo".

L’infanzia in Irpinia, poi in San Jacopino a Firenze prima della folgorazione per la chitarra "La prima dei Litfiba alla rokkoteca di Settignano. Piero? Meno ’talebano’ di me. Mai a Sanremo".

Lui stira leggermente le labbra in un mezzo sorriso e dice: “Io sono un po’ talebano”. Poi precisa: “Con me stesso, intendo. Gli altri sono liberi di seguire la loro strada”.

Così parla Federico Renzulli detto Ghigo, settantun’anni di vita alle spalle, milioni di dischi venduti con la sua creatura: i Litfiba, il più grande gruppo rock italiano, una storia nata in una cantina di Via De’ Bardi.

Passioni forti, idee condivise, rotture, ripartenze, mutazioni genetiche e stilistiche per due ego creativi capaci di tutto e di più. Scintille ed esplosioni emozionali. La voce di Piero, la chitarra di Ghigo. E poi il basso pulsante di Gianni Maroccolo e gli altri. Una storia finita, per ora, poi chissà.

Ma cominciamo dal piccolo Federico, bambino del sud che scopre Firenze.

"Sono nato in Irpinia, in provincia di Avellino. Ma sono ricordi lontanissimi. Sono arrivato qui a sei anni e cresciuto nel quartiere di San Iacopino, poi negli anni ho girato un po’ di case, uscendo dalla città: Scandicci, San Casciano e adesso al Galluzzo. Mi piace. Vivo al confine con la campagna, senza il verde intorno non saprei più stare".

Però si è ritrovato a camminare per le strade di Londra. La Londra punk, quella dei Sex Pistols.

“Ero andato là in vacanza. Era il ’77. Dovevo starci quindici giorni e invece ci sono rimasto due anni. Ero un ragazzino che scopriva il mondo. E quello era un mondo davvero speciale. Anche troppo, per me. E ci sono finito sotto. Tracollo, ospedale, Firenze, casa".

E l’illuminazione: la chitarra.

"Tutto è iniziato ascoltando il blues. Il riferimento era B.B. King. Ma decisi di provarci davvero quando mi ritrovai davanti alla tv a guardare un concerto dei Vanilla Fudge. Quel sound psichedelico fu un vero colpo di fulmine".

Lei si definisce un talebano. Però, tornando al presente, il suo progetto No_Vox, non ha davvero limiti dal punto di vista creativo.

"Ho settant’anni e posso permettermi di fare ciò che amo. Mi considero un compositore e arrangiatore, oltre che chitarrista, ovvio. Non sono un virtuoso ma amo creare, anche attraverso la tecnologia. Nel mio ultimo disco, Dizzy, ci sono molti esperimenti. Trovi anche quelli sulla musica di Nino Rota. E poi Jazz e musica caraibica. Ho finito ora il mio piccolo tour di show case. Mi piace incontrare le persone, parlare, ascoltare. Mi godo la libertà. Quando lavori con un cantante ti devi adattare, devi pensare la musica per esaltare anche la sua voce. Ora non ho vincoli. E mi diverto".

Rewind: cosa ricorda del primo concerto dei Litfiba alla rokkoteca Brighton di Settignano?

"Tutto: la cassa acustica che stava per cascare addosso ad Antonio (Aiazzi, tastierista storico dei Litfiba adesso in tour con Piero Pelù ndr) e che guadagnammo 150 mila lire. Novanta le spendemmo per l’impianto e il fonico. Quindi ci dividemmo 60 mila lire in cinque".

Storie da rocker.

"Ah, poi c’è quella volta che suonammo davanti a dieci persone che ci tiravano addosso le uova".

Il disco dei Litfiba che ama di più?

"Ne devo citare quattro: 17 re, Terremoto, El Diablo e Insidia, con Cabo Cavallo alla voce. Un lavoro che giustamente è stato rivalutato".

Dieci milioni di dischi venduti e un “no” a Sanremo senza se e senza ma.

"Sono fatto così. Niente contro Sanremo. Massimo rispetto, ma non faceva per noi".

E la musica di oggi l’ascolta?

"Io ascolto tante cose diverse. Per la verità in questo periodo mi sono molto dedicato alla musica classica. Sul presente dico solo che non riesco ad appassionarmi molto a un mondo in cui conta più l’apparenza della sostanza. Forse sono solo troppo vecchio".

Lei e Piero Pelù siete diventati davvero così incompatibili?

"Ognuno ha scelto la sua strada. In tutte le band a volte capita di litigare. E anche di separarsi. Diciamo che lui è meno talebano di me. Ma non lo giudico per questo".

Ghigo e Piero un giorno di nuovo insieme. Come la vede?

"Se c’è la volontà tutto è possibile. Io non avrei problemi".