Francesco
Gurrieri
Della ’disorientante ambiguità’, Ranaldi ha fatto la cifra distintiva delle sue opere. La mostra Pietre, appena aperta alla galleria Il Ponte merita di esser visitata per capire cosa possa ancora essere un evento artistico in questa nostra stagione, dove la cultura (umiliata dalla politica) sembra esser diventata una marmellata da cui è difficile uscire. Non so se non sia leggermente enfatico quanto afferma Bruno Corà, quando scrive nella postfazione del bel catalogo (gli Ori) che "dopo il ‘Concetto spaziale’ di Fontana e i ‘Sacchi’ di Burri, il gesto di Ranaldi è uno dei più radicali che chiudono il secolo XX"; certo è che questo nuovo ciclo creativo del più irrequieto e imprevedibile artista toscano, non solo non finisce di sorprendere ma ci apre ancor più a quella autonomia dell’arte capace di sferrare un ulteriore attacco al cuore dell’artisticità che il mercato e il più recente esercitazionismo museale celebrano in favore di se stessi. La devianza artistica di Ranaldi che riposa sul suo assioma, secondo cui "ogni cosa è una cosa ma anche un’altra cosa" fa ormai parte della sua personalissima e apodittica poetica. Ogni composizione è una insospettabile, spiazzante, metastorica scultura: così è, ad esempio, per Estraniante (diaspro, marmo, arenaria, alberese e ottone), Fuoripietra-Fuoriquadro (tela, gabbro, e filo d’ottone), Analogico (pietra litografica, bastone e filo d’ottone). "La pietra – ci dice Ranaldi – attende che il destino si compia. Ormai ho deciso: la scaglierò con forza contro un macigno e coi frammenti che produrrà, darà vita a tanti pianetini in miniatura che racconteranno la propria avventura". Ora è il momento delle pietre, anzi dei materiali litoidi (pietre, marmi, travertini, pomice, calcare carsico ed altro ancora), esibiti come parole di un costrutto neo-linguistico che, al momento, sembra sfuggire ai più; che, tuttavia, essendo saltato ogni statuto istituzionale per la ‘teoria dell’arte’, si candida convincentemente a nuovi spazi espressivi.