"Quasi amici", alla ricerca della leggerezza

Il regista Alberto Ferrari porta a teatro, da domani al Verdi, la sua versione del film francese. In scena Massimo Gjini e Paolo Ruffini

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di Barbara Berti

"Due uomini che si incontrano per caso e questo caso farà sì che diventino uno per l’altro indissolubili, l’uno indispensabile alla vita dell’altro e lenitivo alla ferità fatale che ognuno ha dentro di sé".

Il regista Alberto Ferrari presenta così "Quasi Amici", primo adattamento teatrale del celebre film francese di Eric Toledano e Olivier Nakache, interpretato da Omar Sy e François Cluzet, che arriva al Teatro Verdi dal 19 al 22 gennaio (ore 20,45 tranne la domenica che inizia alle 16,45).

Nei panni dei protagonisti, in questa versione prodotta da Enfi Teatro- Il Parioli, ci sono Massimo Ghini (Philippe) e Paolo Ruffini (Driss).

“Quasi amici“ è una pellicola di grande successo, non è un azzardo portare la storia a teatro?

"Sicuramente impegnativo, ma è una storia importante, di quelle storie che meritano di essere condivise e raccontate, anche con il linguaggio delle emozioni più profonde. Fin da subito ho ritenuto affascinante lavorare a questa trasposizione teatrale perché permette di dilatare, in drammaturgia teatrale, quelle emozioni che nascono per il cinema e che sul palco devono irrobustirsi con parole e simboli precisi per poter rimandare tutti noi a un immaginario condiviso con il quale far dialogare il proprio".

Cosa ha deciso di dilatare e approfondire?

"Nel film il racconto è sbilanciato a favore di Driss, a teatro ho scelto di equiparare i ruoli per poter scavare molto di più nel loro rapporto e nella loro ricerca di questa leggerezza calviniana. Ho pensato quindi, di inserire anche a quei momenti di sconforto che ci permettono di entrare nella psiche di un uomo completamente paralizzato, che diventa tutt’uno con la sua sedia a rotelle elettrica. E nella testa di un altro uomo che ha considerato la vita fino allora come un aperitivo leggero, che si può ingurgitare e poi tranquillamente digerire".

Quali, quindi, le differenze con il film?

"A un certo punto vediamo Philippe camminare, mentre Driss è sulla sedia a rotelle. Sarà solo un sogno? Il pubblico del Verdi lo scoprirà".

Il fil rouge resta, però, l’amicizia?

"Assolutamente sì, alla fine i due uomini escono migliori da questa storia, molto più che ‘quasi amici’. All’inizio non lo sanno ma tutti e due possiedono un dono, la leggerezza, che ognuno può donare all’altro. È, infatti, la pesantezza della sua vita, più che la malattia, che tiene ancorato sulla sedia Philippe, mentre Driss ha fatto della sua leggerezza un modo per non occuparsi di nulla, di scansare ogni problema, ogni profondità, ogni disagio".

Quindi, cosa imparano l’uno dall’altro?

"Che stando insieme possono troverare la giusta leggerezza. E che la ricerca di questo stato d’animo passa anche attraverso la comicità".

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