
Il professore Ruben Razzante tra gli ospiti del Festival di Luce!
di Edoardo Martini
FIRENZE
La tecnologia occupa ormai gran parte delle nostre vite, personali e lavorative. Di sfide negli ultimi anni se ne sono presentate tante: web, social e ora l’intelligenza artificiale, che più di tutte forse mina un concetto che al mondo del giornalismo sta molto a cuore, quella della credibilità, della verità. Di questo e molto altro si parlerà sabato 19 ottobre durante la quarta edizione del Festival di Luce! (magazine online del gruppo Monrif). Di disinformazione, in particolare, parleremo con Ruben Razzante, professore di Diritto europeo dell’informazione, di Diritto dell’informazione e di regole della comunicazione d’impresa all’Università Cattolica di Milano e insegnante di Diritto dell’informazione al Master in giornalismo dell’Università Lumsa di Roma e ai corsi di formazione promossi dall’Odg.
L’IA è un rischio per il giornalismo o una possibilità?
"Credo che come ogni tecnologia, anche questa abbia dei rischi e delle opportunità. Bisogna massimizzare le seconde e marginalizzare i primi. Sono fiducioso che possa diventare un supporto al lavoro dei giornalisti per lo svolgimento di compiti abitudinari, lasciando così più tempo per gli approfondimenti, per le valutazioni. Se ben addestrata, l’IA può aiutare i giornalisti a selezionare meglio le fonti, a fare fact-checking. Però è chiaro che il lavoro giornalistico inteso come sensibilità, come fiuto e valutazione dell’interesse pubblico della notizia e gerarchizzazione dei particolari, è un lavoro non sostituibile. Non vedo una minaccia nell’intelligenza artificiale. Vedo sicuramente un’opportunità. E’ chiaro che ci può essere il rischio che alcune aziende editoriali minori, dovendo sostenere dei costi per adottare queste soluzione, finiscano per sostituire il lavoro giornalistico con le applicazioni. Ma io credo che questo non accadrà".
In questo mare magnum di informazioni e deepfake come ci si destreggia?
"Con due strumenti. Il primo è un insieme di certificazione, di etichettatura delle informazioni attendibili. Il secondo è il potenziamento della formazione e dell’autotutela, dell’eduzione civica digitale, cioè di tutte quelle forme di autoconsapevolezza che vanno incentivate e che possano aiutare i produttori di informazioni, ma anche i fruitori, a sbagliare di meno".
Da studioso, come si sono evoluti i social negli ultimi anni?
"Credo che abbiano un po’ perso il loro smalto iniziale. Sono in una fase di ripiegamento perché la fase della socializzazione spinta si è un po’ fermata. C’è stata una contrazione del pubblico. Molti utenti sono usciti, si sono stufati. C’è sicuramente una fase di stanchezza, forse post covid quando la gente stava in casa e ha avuto il massimo di interazioni social possibile. C’è stata una degenerazione della comunicazione, perché molti hanno iniziato a usarli come sfogatoio".