
La storia e l’eredità della stilista Marucelli: l’orgoglio toscano di appartenenza al mondo dell’invenzione .
Luca Scarlini
Germana Marucelli, creatrice della moda più avanguardistica in Italia nel dopoguerra, a fianco di artisti come Piero Zuffi, Getulio Alviani, Paolo Scheggi, aveva iniziato il suo apprendistato nella moda nella severità di una sartoria all’antica, come racconta nelle sue memorie “Le favole del ferro da stiro“, raccolte da Fernanda Pivano e pubblicate per la casa editrice East 128 nel 1964, con la grafica mirabile di Ettore Sottsass. In questo testo racconta con dovizia di particolari l’epoca in cui la moda italiana non esisteva e la pratica della creazione dell’abito prevedeva soggiorni a Parigi e trattative all’ultimo sangue per avere i costosissimi modelli a prezzo minore.
Non mancano nemmeno i lati più oscuri di questo mondo. Lavorava da quando aveva dieci anni, dal tempo della Prima Guerra Mondiale, presso la severissima zia Gemma Romiti, sposata Failli, artigiana di gran classe e tra i suoi compiti c’era anche quello del recupero crediti. L’incarico era stato ricevuto dalla futura creatrice, quando aveva dodici anni, per conto della famosa zia, che aveva un laboratorio importante di mode, ovviamente di importazione e imitazione francese, come voleva lo stile del tempo.
Lo zio, amministratore di bottega, le aveva detto, fin da bambina, che avrebbe diretto lei la sartoria, ma la donna, invece, aveva tutt’altra idea. Quindi il tormento escogitato per la giovane e già ribelle Germana era di fasciare i ganci del gros grain, che per la raffinatezza artigianale di quell’epoca, dovevano essere fatti tutti a mano, ma con la perfezione che avrebbe avuto una realizzazione a macchina. Compito a cui Germana nelle Favole si dichiara completamente inetta e incapace, creando disastri a ripetizione.
Dopo litigi, strilli e discussioni, passa alla fattura delle maniche, responsabilità assai maggiore, ma infine anche quell’esercizio le consuma la pazienza. Si sentiva già pronta alla creazione: aveva realizzato, a undici anni, di suo solo estro, l’abito da sposa per una cugina, che era piaciuto.
L’origine toscana fa sentire alla Marucelli un orgoglio di appartenenza al mondo dell’invenzione, come vogliono tutte le leggende sui vari artisti enfants prodiges da Giotto a Raffaello. Perciò, gesto inaudito di indipendenza e di rivolta, lasciò la severa zia e si presentò a quindici anni a un esercizio rivale in Piazza Santo Spirito, e venne subito assunta, anche per fare un dispetto alla rigidissima Failli, e messa a tirare punti molli. L’apprendistato che si riassume nelle memorie è durissimo.
Germana si mette in evidenza, però, per la capacità clamorosa di copiare. Nel frattempo si dedica alla sua passione segreta: le motociclette, con cui scorrazza per il contado fiorentino, facendo manovre spericolate. In abiti maschili, presentandosi come meccanico, in seguito riesce anche a pilotare automobili da corsa, prendendosi il piacere di competere in gare sportive con gli uomini che voleva sfidare.
Sullo sfondo c’era anche una sua vis polemica contro le discriminazioni per le donne, di cui spesso ha lamentato il peso, nel corso della sua complicata esistenza. Infine giunse la pacificazione con la zia, e la realizzazione del suo desiderio. Il 6 febbraio 1921, all’età di sedici anni, al seguito della sempre più severa Failli, che la guardava a vista, prese la via di Parigi. Fino al 1941, per venti fittissimi anni, è questa la sua unica bussola: a cui fa riferimento ossessivamente.
Non esistono altre mode oltre a quelle previste dall’Officiel, fondato da André Castianée nel 1921. Il suo compito è apprendere, imitare, replicare. La prima strategia da apprendere per la relazione con le maisons, insieme alla lingua francese, è l’attesa, fino a quel momento non padroneggiata. La prima frase da mandare a memoria è, quindi: "S’il vous plait ne coupez pas le manteau de Madame Failli jusq’à demain, je viens moi à parler avec l’administrateur".