"Se vogliamo che la Toscana raggiunga gli obiettivi dell’agenda 2030 per la sostenibilità, bisogna incentivare il fotovoltaico. E se vogliamo incentivare il fotovoltaico bisogna evitare di mettere vincoli assurdi, soprattutto nelle aree agricole non di pregio".
A fare il punto sull’agrivoltaico nella nostra regione, in attesa del decreto Agricoltura, è Stefano Corsi, coordinatore della commissione Ambiente ed energia dell’Ordine degli ingegneri di Firenze.
E invece le restrizioni non mancano…
"Sì. Nei confronti delle energie rinnovabili c’è un po’ di cattiveria, di estrema rigidità. Quella rigidità che non si registra, ad esempio, quando si parla di ripetitori per la telefonia cellulare o di nuove strade".
Un modo per tutelare il paesaggio toscano?
"Il paesaggio toscano deve essere certamente tutelato. Ma nessuno pensa di togliere oliveti e vigne per mettere al loro posto impianti fotovoltaici. Questi impianti potrebbero essere installati in aree a basso pregio, in aree già di per sé poco sfruttate. Ma vincoli rigidi e aumento della produzione di energie rinnovabili non vanno d’accordo". Di quanto deve crescere la produzione toscana di energie rinnovabili per arrivare agli obiettivi dell’agenda 2030?
"Di 4,2 gigawattora. Numeri importanti che possono essere raggiunti soltanto con nuovi e numerosi impianti. La parte del leone dovrà essere fatta dal fotovoltaico, una misura minore dall’eolico. Certo, non tutti i nuovi impianti fotovoltaici verranno costruiti su terreni agricoli: almeno il 20-30 per cento sorgerà in aree industriali o sui tetti dei capannoni. Ma per il resto si dovranno certamente utilizzare i terreni agricoli".
Ha un’idea degli ettari che saranno necessari?
"Abbiamo fatto una stima che arriva a un massimo di 500 ettari".
Sembrano tanti…
"Stiamo parlando dello 0,1 per cento dei 500mila ettari di terreni agricoli. Tenga conto che ogni anno la costruzione di nuove strade ed edifici in Toscana incide per circa 200 ettari".
Crede che gli imprenditori agricoli saranno interessati a investimenti di questo tipo?
"Nei terreni non pregiati dal punto di vista delle produzioni, un impianto agrivoltaico potrebbe rappresentare un’integrazione economica importante per le aziende. Senza dimenticare che in questo modo si potrebbe lavorare a una produzione diffusa di energia elettrica, senza che avvengano concentrazioni di grandi impianti fotovoltaici".
Se vi fossero nuove restrizioni all’agrivoltaico che rischi correremmo, secondo lei?
"Nuove limitazioni a questa attività, pur non impedendone la realizzazione, porrebbero vincoli eccessivi: il rischio è che così decada la fattibilità economica o tecnica, scoraggiando l’investimento privato. Il nostro Paese, essendo già in ritardo sugli obiettivi del 2030, dovrebbe raddoppiare l’attuale potenza, non fermarne la crescita".