di Teresa Scarcella
FIRENZE
Al di là di quello meramente penale, c’è un aspetto sociologico intorno all’omicidio di Viareggio che fa parecchio discutere e riflettere. Non solo sui social. C’è una parte della politica, che si professa cattolica, che spiega la morte del 47enne Said Malkoun, investito ripetutamente da Cinzia Dal Pino dopo averle rubato la borsa, come diretta conseguenza del suo crimine, la rapina appunto. Ma cosa ne pensa chi ha fatto della fede una reale scelta di vita? La domanda è per il cardinale Augusto Paolo Lojudice, neo presidente della Conferenza episcopale della Toscana.
Cardinale, che idea si è fatto intorno all’accaduto e sul dibattito che ne è scaturito?
"Senza entrare nel merito del caso di cronaca perché non spetta a me giudicare, ma mi sembra quasi paradossale commentare determinate cose. La violenza, in qualunque forma si manifesti, è sempre deprecabile, a prescindere dalle motivazioni. Mi sembra scontato doverlo dire".
Forse non lo è?
"Indubbiamente siamo tutti immersi in un clima di inquietudine assoluta, di insoddisfazione perenne, che coinvolge un po’ tutti e di fronte alla quale dobbiamo provare a difenderci per non cadere in una situazione che poi diventa ingestibile, una giungla senza nessuna regola. Aiutando i giovani con quelle che sono le nostre azioni di genitori, insegnanti, preti, politici, giornalisti. Tutti noi dovremmo comprendere che qualunque gesto, parola, può diventare una miccia in un terreno infiammabile. Questo è il risvolto che mi sento di dare di fronte a fatti di questo tipo, così assurdi, richiamando alla responsabilità personale di ognuno, anche quella più quotidiana. Il riferimento ai valori importanti, capitali, come il rispetto dell’altro, della diversità e ovviamente della vita".
Abbiamo perso un po’ il senso della misura? Tutto è meno importante, anche la vita stessa?
"Credo che tutto quello che noi continuamente vediamo mediato dai social, che ci porta ad abbracciare la violenza, possa avere un ruolo soprattutto nei momenti particolari della vita in cui effettivamente siamo un po’ fuori di noi. Molto dipende proprio da questo rapporto continuo con il mondo virtuale che ci rappresenta continuamente una violenza immediata, a portata di mano, diretta, direi anche più forte e più coinvolgente di quella che vedevamo solo nei film. Mi viene in mente, ad esempio, “Il giustiziere della notte“. Ero un ragazzo quando andai a vederlo al cinema, avrò avuto 15 anni. Un conto è guardare un film, partecipare emotivamente a quella che è una violenza subìta, diversa è la forza che hanno oggi i social e quindi i messaggi che mandano. Con questo non voglio dire che la colpa è di qualcun altro, ma l’aria che respiriamo è questa".
Proprio sui social, in questi giorni, in tantissimi inneggiano alla giustizia privata. È preoccupante?
"Non mi stupisce, alla luce del clima in cui viviamo, che ci siano determinati commenti. Che probabilmente ci sarebbero stati anche prima, magari al bar, ma non avevano la risonanza che hanno oggi. Ciò che mi preoccupa è il fatto che possa esserci una tale spaventosa diffusione da stimolarsi l’uno con l’altro".
A proposito di responsabilità, alcuni politici hanno detto che se la vittima non fosse stato un delinquente, tutto questo non sarebbe successo...
"Più è alta la responsabilità sociale e più deve essere alta l’attenzione per quello che si dice e che si fa. Mi riferisco ai genitori, agli insegnanti e a maggior ragione ai politici. Chiaro che dire certe cose è delirare, voler toccare intenzionalmente quelle pance, quegli umori sperando di prendere qualche voto in più. Mi verrebbe da dire no comment..."