
In alto, padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte. Sopra la folla in piazza
di Antonio Passanese
Il caso, o la Divina Provvidenza (dipende dai punti di vista), ha voluto che, ieri l’altro, l’abate di San Miniato al Monte, padre Bernardo Gianni, nel momento dell’elezione di Leone XIV si trovasse in un monastero di suore agostiniane. Quello di Montefalco. "Eravamo lì, in pellegrinaggio con i miei confratelli, perché ho una particolare devozione per Santa Chiara da Montefalco". Scene di giubilo e stupore alla fumata bianca, ma non appena appreso l’ordine (quello agostiniano) a cui apparteneva il nuovo Papa, "le suore hanno fatto suonare all’infinito le campane, esultavano, gioivano".
Abate, rompiamo subito gli indugi: che ne pensa di Leone? "È un grande dono alla Chiesa e al mondo intero: questo ho percepito dalle sue prime parole. Una persona di grande umiltà e umanità che raduna in sè molteplici profili: quello dell’intellettuale, del missionario, dell’uomo spirituale, del vescovo pastore".
Lei lo conosce personalmente? Il nuovo Papa è venuto svariate volte a Firenze... "No, non l’ho mai conosciuto. Ma so che Il Santo Padre è molto legato a questa città, che deve molto agli agostiniani di Santo Spirito nell’elaborazione dell’Umanesimo. Quel convento, in Oltrarno, è sempre stato un punto di riferimento spirituale e culturale di primissima importanza nella storia".
Nella sua prima omelia, Leone XIV ha parlato di mancanza di fede, di crisi della famiglia e di tante altre ferite. Queste parole danno il segno della ’politica’ e dell’impegno pastorale che il pontefice porterà avanti? "Mi piace chiamarla col suo nome, cioè missione più che politica. Missione rivolta alla persona umana e alle relazioni in cui la nostra dimensione personale è chiamata a impegnarsi e a realizzarsi. Mi ha colpito molto, nel suo saluto, il riferimento alle famiglie e a quelle situazioni sociali che Papa Francesco ci ha insegnato a riconoscere nella loro criticità".
Il Santo Padre ha anche detto che Gesù oggi è ridotto a una specie di leader carismatico, di superuomo. Che tradotto significa? "Che si è persa la consapevolezza della centralità di Cristo come vero uomo e vero Dio allo stesso tempo. Queste parole ci riportano al dono che il padre Celeste ci fa: un Gesù che è la via di speranza, di salvezza, della pace".
Ma lei crede che Leone segua la strada solcata da Francesco o darà un’impronta tutta sua alla Chiesa dell’oggi e del domani? "Sicuramente seguirà il Vangelo, e dunque raccoglierà l’eredità di Francesco. Come ha detto il cardinal Ravasi, “tiene aperto il cantiere della Chiesa“, perché ha parlato di sinodalità, di dialogo, di ponti. Espressioni che Papa Francesco ci ha insegnato ad avere presenti".
Abate, perché, secondo lei, Prevost ha scelto il nome Leone, che ci riporta a memorie ottocentesche? "Io credo che il riferimento sia a Leone XIII, un Papa che ha affrontato grandi temi sociali, che è stato il Papa delle prime aperture ecumeniche, e un gran devoto alla Madonna e al rosario. Proprio come Leone XIV, che ieri ha fatti riferimento alla Madonna di Pompei. Credo che possiamo riconoscere in questo riferimento tutt’altro che un generico conservatorismo, ma la tipica capacità della Chiesa di far tesoro della sua tradizione e allo stesso tempo di guardare al futuro".