FRANCESCO
Cronaca

La metapoesia creativa di Massimo Mori

Francesco

Gurrieri

Nel 2014 gli è stato assegnato il Premio Lerici Pea per la poesia intermediale, riesumato dopo anni di silenzio, da Maria Grazia Beverini Del Santo tra le prime interpreti della poetica ‘plurale’ di Massimo Mori. Fu la Del Santo a percorrerne la ricomposizione mnemonica delle pagine sparse della copia paterna della Commedia dantesca, evocate nella padrelingua, con il compito di riconciliare e attualizzare il passato con la pulsione della creatività del nostro artista. Confesso che avevo qualche perplessità con questa tipologia espressiva, ma l’amicizia e la passione sincera che caratterizzava quel suo fare artistico, erano per me certificati di garanzia. Poi, col passare del tempo e con una mia progressiva confidenza con i suoi “esercizi di stile” , mi sono avvicinato ai suoi strappi vocali, ma soprattutto alla promenade urbana a rincorrere gli itinerari danteschi. Penso che Mori, come pochi altri, sia riuscito a perimetrare un campo dinamico dell’esercizio metapoetico, vera e propria poesia ‘in composizione’. Non solo, ma a costruire quell’area di trasgressione pacata divenuta la sua cifra. Nell’anno dantesco sono tornate le preoccupazioni che un secolo fa furono espresse da Benedetto Croce, "Che la dantomania potesse prevalere sulla dantologia". Ecco, credo che la padrelingua di Mori si sia sottratta allo scivolone dantomaniaco e abbia contribuito ad una positiva dantologia del VII centenario della morte di Dante. Oggi non sappiamo quali saranno le prossime strade della poesia. Ma resta la convinzione di ciò che sia poesia nella definizione di Luzi: "Poeta è colui che, al di sopra del frastuono snervante del ritmo quotidiano, sa ascoltare una foglia che cade. Ne è testimone e la raccoglie in nome dell’uomo assente". Ecco, mi pare che Mori sia un

buon “raccoglitore” di foglie. Un turbolento, pacatissimo sperimentatore che ha consegnato nel suo Tai.Chi. Poematica del Principio il suo rapsodico pensiero fra oriente e occidente.