GABRIELE
Cronaca

La finzione dei progetti condivisi

Gabriele

Canè

Adesso va di moda la ’condivisione’: io condivido, tu condividi, noi condividiamo. Assieme alla parola ’progetto’ compare in quasi tutti i discorsi, e spesso vanno pure assieme: ’progetto condiviso’. Ne parlano persino i calciatori quando vanno in una nuova squadra: guadagnano un milione in più all’anno, ma quel che li ha spinti è il ’progetto condiviso’. In politica, poi, siamo all’inflazione. Ogni iniziativa viene condivisa. O si fa finta che lo sia. Soprattutto quelle che dividono. Tanto per citarne una, la solita, stucchevole nuova pista di Peretola. Che a forza di dividere, e non decidere, è ferma da mezzo secolo, il che consente a ogni occasione esternazioni di tutti i tipi, più spesso contrarie. Come quella di Ilaria Cucchi, atterrata in un seggio sicuro (?) e scopertasi paladina del ’no’ al nuovo Vespucci. Lei non è del Pd che è per il ’sì’, salvo parecchi esponenti, e pure candidati che sono dichiaratamente per il ’no’. Insomma, il dibattito resta aperto, vivace. Divisivo. Da paralisi. Ed ecco che salta fuori la parola magica, condivisione: ora andiamo in ordine sparso, ma poi ci sediamo e condividiamo. Bene. Una cosa però vorremmo chiarire: che chi è stato eletto è già il frutto di una condivisione, cioè degli elettori che lo hanno votato. E chi governa è stato condiviso più degli altri. Dalla maggioranza. A quel punto, il suo ruolo è molto semplice: deve governare. Se sarà condiviso verrà rieletto, diversamente altri prenderanno il suo posto. Semplificando. Il nodo scorsoio di Peretola va sciolto da chi governa. Stop. Sentiti tutti gli interlocutori, per carità. Fatte tutte le valutazioni, anche politiche, ovvio. Ma poi agendo, facendo. Dividendo. Perché spesso la condivisione non è la forma più alta di democrazia, ma quella più bassa e balbettante di governo.