
La colombina fa centro "Ma il carro non resti soltanto un simbolo" Il monito di Betori
E’ stato un volo perfetto quello della colombina che la mattina di Pasqua ha incendiato il carro di fuoco davanti a 5.000 persone ed è poi tornata al punto di partenza davanti all’altare maggiore del Duomo, segno di prosperità e di buoni raccolti. Eppure c’è bisogno di un impegno personale perché l’auspicio si concretizzi: "Simbolo della luce di Gesù è stato il nostro carro, portando nel cielo di Firenze il fulgore e la forza di Cristo, della sua Pasqua - ha detto l’arcivescovo Giuseppe Betori nell’omelia - L’augurio è che non resti un simbolo, ma che tutti noi ci trasformiamo nella luce di una vita nuova, dono per gli altri".
Per recepire a pieno il senso della Pasqua, essere trasformati dalla Risurrezione, occorre "vivere con sincerità e con verità, cioè con trasparenza e lealtà, coerenza e rettitudine. Atteggiamenti non molto facili oggi, in un mondo in cui nascondersi sembra un imperativo per affermarsi, dal nickname che fa da velo all’identità per non farsi responsabili di nulla, soprattutto nello spargere fake news e odio, - ha proseguito l’arcivescovo - fino alle scatole cinesi dentro cui si celano quanti manovrano le leve delle speculazioni finanziarie o si industriano per inquinare la vita economica, sociale e politica a proprio vantaggio. Pensiamo solo ai tanti problemi di chi, proprio in conseguenza di questi atteggiamenti, - ha aggiunto, con un riferimento che a molti è parso riferirsi alla liquidazione della ex Gkn di Campi - resta senza stipendio, con davanti un futuro incerto".
Ma c’è un altro aspetto da non sottovalutare nella società contemporanea, anche fiorentina. Sta prevalendo "un modo di rapportarsi al reale per cui a definirlo è la scelta soggettiva e la volontà di potenza, al di là del bene e del male. - ha sottolineato con forza il cardinale - Prolifera una cultura che fa della mistificazione del reale uno strumento di presunta libertà".
A causa di questa mistificazione, per Betori "ne vanno di mezzo realtà come la famiglia, la generazione, l’essere padre, madre e figlio, la sfera della sessualità in tutti i suoi aspetti. Né è più onesto il modo con cui si riconosce, o meglio si misconosce, il lavoro e la sua dignità. O il modo con cui ci si pone di fronte al reo, disattendendo sistematicamente il suo recupero umano e sociale. Per non parlare del riconoscimento della dignità umana di uomini, donne e bambini in fuga da guerre, fame, situazioni sociali di estrema povertà, lasciati morire in viaggi della disperazione, senza che si tenti, da parte della comunità internazionale, di trovare un modello di cooperazione tra i popoli che sia in grado di coniugare le aspirazioni dei poveri e le capacità di accoglienza da parte di chi gode di maggiori risorse. E poi la guerra, tornata a essere strumento di dominio, per dare corpo con la violenza a progetti di egemonia e di potere. Come la comunità di Corinto rischiava di rovinare lasciandosi sedurre da un pensiero che negava di dover distinguere tra bene e male sulla base di un’oggettiva verità, così il nostro mondo rischia di distruggersi nel ribaltamento del rapporto tra verità e libertà".
Duccio Moschella