FIRENZE
Fuori, due negozi gestiti da cinesi. Ma da lì, partivano fiumi di denaro destinati alla Cina.
Una banca clandestina, con sede a Firenze e succursale a Prato, è stata scoperta, dopo anni di indagini, dalla guardia di finanza. Ieri, è stata notificata un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due cinesi, marito e moglie, ritenuti il fulcro di un’associazione per delinquere (di cui farebbero parte altri due connazionali, per i quali il gip Agnese Di Girolamo non ha concesso misure) dedita, secondo le accuse del pm Ester Nocera, all’esercizio abusivo dell’attività finanziaria e bancaria e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Tredici gli indagati totali. Il giudice ha disposto anche il sequestro preventivo di 74mila euro. La banca clandestina si sarebbe posta a servizio di imprenditori e lavoratori, tutti di origine cinese del settore confezioni e pelletteria. Con questo sistema, sarebbero arrivati in Cina tre milioni di euro. Uno è stato sequestrato nel corso delle indagini. La filiale centrale era celata dentro un negozio di via della Saggina, a Quaracchi. Un’altra attività gemella, riferibile anch’essa alla coppia finita a Sollicciano, è collocata nella periferia di Prato. La banca clandestina sfruttava “We Chat“ (una sorta di whatsapp molto utilizzato nella comunità cinese) e “Alipay“, canali che, associati a una o più carte di credito, consentono il trasferimento di somme. Per importi più grossi, il denaro, spiegano le fiamme gialle, veniva anticipato attraverso conti correnti e carte bancarie accesi in Cina in favore di altri soggetti lì residenti, indicati dai clienti. Poi il denaro raccolto in contanti in Italia veniva prelevato da ulteriori connazionali (i “trasferitori”) e trasportato fisicamente in madrepatria. Durante il covid, i trasporti si erano fatti più difficili a causa delle restrizioni per la pandemia e questo preoccupava gli indagati, come emerso dalle intercettazioni. In alcuni casi erano i “trasferitori” che mettevano a disposizione in Oriente proprie provviste di denaro a fronte di una ulteriore commissione. In taluni casi la banca clandestina restituiva ai propri clienti denaro contante dopo aver ricevuto un bonifico sui conti correnti nella Repubblica Popolare. Dalle indagini è emerso che, al fine di creare un’adeguata provvista, in taluni casi gli indagati avrebbero comprato in Italia, su commissione di connazionali residenti in madrepatria, beni di lusso da inviare loro: a fronte di tali acquisti i committenti accreditavano la relativa somma, comprensiva di commissioni per il servizio reso, sui conti correnti esteri degli indagati, in modo tale da non necessitare il trasferimento del contante ritirato in Italia verso il paese di origine.
ste.bro.