Manzoni a Firenze: i Promessi Sposi in un affresco in riva all'Arno

Itinerario alla scoperta dei segni "toscani" dello scrittore, che nel capoluogo soggiornò

I lungarni a Firenze

I lungarni di Firenze

Firenze, 20 novembre 2015 - Firenze, estate del 1827. Esistono già due diverse stesure de I promessi sposi, una delle quali persino pubblicata. L'autore è Alessandro Manzoni, uno scrittore solerte, rigoroso, sul punto di compiere una vera rivoluzione linguistica e cambiare per sempre la storia della letteratura. La trama del suo romanzo è definita, l'intreccio maestoso, i personaggi funzionano. Eppure, manca qualcosa. Una scintilla di vita da instillare in un linguaggio nuovo, che sia duttile, polifonico, ma anche capace di conferire unitarietà ad un'opera così complessa.

Una lingua che, attraverso la naturalezza del parlato, possa rappresentare la dinamica realtà della vita, raccontando al meglio la storia di Renzo e Lucia.

Risciacquando i panni in Arno - Milanese di nascita, Manzoni aveva capito da tempo che il dialetto lombardo non si prestava ai suoi intenti. Ed è per questo che aveva deciso di trasferirsi a Firenze: per “risciacquare i panni in Arno”, come recita la fortunata espressione di Niccolò Tommaseo, ripulendo la sua opera dalle incrostazioni del dialetto natio e sostituendolo definitivamente con quello toscano. Manzoni crea così una lingua che si ispira al parlato dalla borghesia fiorentina, anticipando l'italiano moderno, un modello linguistico per quella che sarà l'Italia unita. E quale luogo migliore per risciacquare i suoi Promessi sposi se non un albergo in riva al fiume? Quando vi soggiornò lo scrittore si chiamava Hotel delle Quattro Nazioni: oggi il nome è diverso, ma il passaggio dello scrittore non è stato dimenticato. Basta alzare lo sguardo sulla facciata di Palazzo Gianfigliazzi in Lungarno Corsini per scorgere la targa che ricorda il suo illustre ospite, che proprio in queste stanze dette “vita toscana al romanzo immortale”.

La palazzina della Meridiana - Se per molti I promessi sposi divennero una sorta di Bibbia laica da tenere sul comodino, Leopoldo II di Lorena non si accontentò della sola versione cartacea. Il granduca di Toscana era un fan talmente accanito di Manzoni che decise di affrescare una stanza di Palazzo Pitti con alcune scene tratte dal romanzo. Nella palazzina della Meridiana, oggi sede della Galleria del Costume, si trova un ciclo di affreschi che riproducono i momenti salienti del libro: un'opera che, realizzata a partire dal 1830 da Nicola Cianfanelli, costituisce la prima raffigurazione delle vicende manzoniane.

Liquore di conforto per un romanzo immortale - Ma non di solo studio vive l'uomo. Sembra infatti che durante il soggiorno fiorentino lo scrittore fosse solito servirsi dall'antica spezieria di San Marco nell'attuale via Cavour, fondata nel 1436 e chiusa dal 1995. Proprio qui Manzoni faceva incetta dell'alchermes preparato dai frati domenicani: un “liquore di conforto”, come veniva chiamato all'epoca, distillato secondo un'antica e segretissima ricetta, risalente ai tempi di Caterina de' Medici. Un elisir di lunga vita, certo il più adatto per scrivere un romanzo immortale.

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