REDAZIONE FIRENZE

Isolotto La città giardino di La Pira Solidarietà e verde, doppia sfida

Impegno collettivo per dare un calcio ai pregiudizi, ma rimangono sacche di povertà e devianza. Il rione storico degli anni ’50 deve fare i conti con il microcosmo che abita nei palazzoni popolari.

Isolotto La città giardino di La Pira Solidarietà e verde, doppia sfida

L’isolotto qui c’era davvero e non era neppure piccolo: era separato da una ramificazione dell’Arno, dall’attuale Montagnola, lungo tutta via Torcicoda, che ne seguiva le anse sinuosa come la coda di un gatto da cui il nome. In alcuni periodi, fu persino più estesa. Tutta questa piana appena fuori San Frediano era una palude, ce lo ricordano toponimi come via delle Isole, i Bassi perché si allagavano, via dello Scalo era il porto dei legnaioli di Legnaia.

Una terra, dopo la conquista romana – Cintoia viene da centuria – per secoli desolata, malarica, usata come discarica con pochi minuscoli borghi, che fu bonificata solo con l’Argingrosso, avviato niente meno che da Leonardo da Vinci nel ‘500 e finito due secoli dopo. Qui sorgerà nel ’54 il villaggio Ina Casa di edilizia popolare, la città giardino voluta da La Pira e Fabiani finalmente ricordati nel murale della piazza appena rinnovata. Oggi, l’Isolotto vecchio, è una zona ambita e smarcata dai pregiudizi che si è portata addosso per decenni. Ma c’è un Isolotto che incarna lo spirito più autentico del rione. Che in questo lembo di Firenze strappato alla palude, l’alba ha il suono di vecchi furgoncini che borbottano nella bruma invernale. Sono operai e artigiani che partono per un’altra giornata di lavoro. Piano piano i portici si animano delle chiacchiere dei pensionati che tornano dalla spesa, dalle buste spunta il giallo dei prodotti primo prezzo. Sono le case popolari, quei palazzoni, ognuno una Torre di Babele, che si svela già dai campanelli, dalle scale dove si mescola l’odore di caffè, del tabacco e di spezie esotiche: la vecchia generazione operaia arrivata dal Sud con il boom lascia spazio a prime e seconde generazioni di stranieri.

In questo melting pot si è creato un microcosmo di comunità, dove la solidarietà batte più forte della miseria, arriva là dove i servizi sociali devono lavorare con il forte tessuto associazionistico che ora si prova a mettere in sinergia con la Rete di Solidarietà. Anche perché non sono rare le case dove sono più le bocche da sfamare che gli euro guadagnati, e rimangono sacche di criticità dove alla povertà si affiancano devianze, vedi quelle giovanili che spesso superficialmente si declinano come baby gang, come i recenti fatti di di piazza Matas e via Canova. Eppure questo lembo, un tempo di frontiera, vede da tempo un timido processo di borghesizzazione: la zona si è ricucita con le attività commerciali, anche se la Gdo ha fagocitato le botteghe. Ma soprattutto con i servizi pubblici, primo tra tutti la BibliotecaCanova, il nuovo Polo sportivo di San Bartolo con annesso Palawanny e piscina in arrivo, senza togliere spazio al verde.

Carlo Casini