
In memoria di Vezio e gli altri invisibili. Giornata speciale con i senza fissa dimora
Alla fine ti rimane solo la proprietà del nome e quello non lo confidi al primo che passa, ma a chi significa qualcosa per te. Il nome i senza fissa dimora lo dicono agli amici che si fermano almeno un po’. Sono stati 160 i nomi e le storie che alle messa in memoria di Vezio, celebrata nella chiesa di Santa Maria dei Ricci dalla Comunità di Sant’Egidio con tanti amici di strada, sono stati ricordati nella loro preziosa e sofferta unicità. Nomi e vite conosciuti così, portando da mangiare da oltre trent’anni, lasciando sì il cibo, ma cogliendo l’occasione di entrare in storie di confine, certamente, ma in realtà anche molto comuni: il lavoro perso, la separazione finita malissimo, l’espulsione da una famiglia, dire ai cari lontani che si sta bene mentre invece non si ha più un tetto sulla testa, l’emigrazione che non ha trovato un approdo lavorativo, l’insorgenza di una malattia. Li "riassume" tutti, guardando da una balaustra sotto l’altare, proprio Vezio, uomo buono, capace di un’amicizia personale fatta di gesti concreti e pieni di affetto, come i fazzoletti di carta messi da parte per chi andava a trovarlo. Ma c’erano, anzi ci sono, anche Maura, Robert, Otello, Liliana, Rossella ed Emanuele, nelle cui vite non è mancato il tempo del naufragio, "ma ai quali il Signore, ha donato un felice approdo per i loro ultimi anni", trovando un tetto, una casa, una sistemazione. Si ricorda Cesare, pugliese di Copertino, che girava intorno all’ospedale di Santa Maria Nuova, e Sandeep, ucciso a Novoli lo scorso anno ("Lo avevamo conosciuto a Brozzi perché un giorno di pioggia era venuto da noi, in cerca di vestiti asciutti, accompagnato dai suoi amici che erano diventati la sua nuova famiglia") e Branko, ferito dalla guerra in Bosnia; Ranjithu, dello Sri Lanka, e Jacob 32enne di origine ceca, morto per un incidente lo scorso 16 giugno in piazza santa Maria Novella ("In quella stessa piazza ci eravamo conosciuti nel 2018 e da allora, ogni settimana abbiamo trascorso molto tempo insieme"); Kiarah di San Frediano; Yahiah, Pasquale, Alessia e Massimo. C’è una trama profonda, che va colta al di là della cronaca: se la paura della povertà e del "contagio" tiene a distanza, "Gesù invece – è stato detto durante la liturgia – tocca e guarisce", non gira il volto dall’altra parte. Le declinazioni possibili del "tatto" sono infinite, basta fermarsi almeno un poco. Domenica i partecipanti si sono fermati insieme a un pranzo preparato nella sede di Sant’Egidio in via della Pergola.
Michele Brancale