Il terremoto fa paura solo il giorno dopo

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Gigi

Paolì

Eccole, pronunciate all’indomani del terribile terremoto di Messina che provocò circa 100mila morti: "La sismologia non sa dire quando, ma sa dire dove avverranno terremoti rovinosi, e sa pure graduare la sismicità delle diverse province italiane. Quindi saprebbe indicare al governo dove sarebbero necessari regolamenti edilizi più e dove meno rigorosi, senza aspettare che prima il terremoto distrugga quei paesi che si vogliono salvare". A queste parole che, ripeto, sono del 1908 (e quindi nel mezzo è successo di tutto, dal Belice all’Irpinia, passando per Amatrice), leghiamo qualche dato di oggi, perché le parole possono essere confutate, ma i numeri mai. E dunque: solo il 25% delle case italiane, una su quattro, è realizzato seguendo le tecniche di costruzione antisismica; solo l’1 per cento degli edifici possiede una polizza assicurativa contro il rischio sismico (a dimostrazione di quanto la percezione del problema emerga solo a scosse, e talvolta esequie, avvenute); il 74% degli edifici ha più di quarant’anni e i fabbricati residenziali realizzati prima degli anni ’60, nelle prime tre delle quattro zone a rischio sismico in cui è diviso il nostro Paese (Firenze e la sua provincia sono fra 2 e 3, la più a rischio è la zona 1), sono il 40% del totale costruito. Secondo tale classificazione, nelle prime tre aree la popolazione coinvolta supera i 48 milioni di persone, le famiglie sono 20,7 milioni e 11 milioni gli edifici coinvolti, di cui 9,3 milioni sono abitazioni. Tutto questo già ci dice una cosa, e cioè che la causa principale del rischio è da rintracciare nella qualità del patrimonio edilizio, storico o vecchio, per lo più non preparato a rispondere a terremoti anche di media entità. Il problema è vecchio come il mondo: i soldi. Si stima infatti che per la messa in sicurezza degli edifici delle zone 1, 2 e 3 sia necessaria una spesa quantificabile (e approssimata per difetto) in circa mille miliardi di euro.

Tutto questo per dire, tornando alle parole di don Mercalli, che il terremoto troppo spesso è considerato una parola astratta, di cui ci si ricorda solo quando ci ritroviamo, impotenti, a guardare il lampadario che ondeggia mentre ci balla il pavimento sotto i piedi. E questa percezione di disattenzione al problema risulta alquanto stupefacente dato che anche il mio gatto sa che l’Italia è uno dei Paesi a maggiore rischio sismico dell’intera area Mediterranea, trovandosi là dove convergono la zolla euroasiatica e quella africana. "Balliamo sul mondo", cantava Ligabue in una celebre canzone di qualche anni fa. Si balla, noi tutti che in questi giorni andiamo a dormire con l’ansia di svegliarci in piena notte perché una scossa ha fatto spostare il letto. Ora però mi torna in mente che quella canzone proseguiva con "cadremo ballando, sul mondo, lo sai, si scivola". E perciò, visto che lo sa perfino Ligabue, che è tutto fuorché un sismologo, perché la sicurezza antisismica è diventata l’arte del giorno dopo? Si grida da tempo "al lupo, al lupo", ma non ci siamo accorti che al lupo, da un bel po’, ci siamo in groppa?

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