
"Vi siete mai chiesti perché il paesaggio toscano è così bello? Direte: per la dolcezza e l’armonia dei colli, la varietà della vegetazione. Certo, ma anche per una ragione giuridica: in Toscana non si sviluppò il latifondo dell’unico padrone. La distribuzione della ricchezza, fin dal medioevo, fece sì che la borghesia costruisse palazzi in città e acquistasse poderi in campagna. Il versante di un colle era diviso fra più proprietari: chi coltivava la vite, chi il grano, chi l’olivo. Era una gara nel perseguire la perfezione. Si piantavano cipressi a segnare confini e sommità. Ed ecco il meraviglioso patchwork del nostro paesaggio". Il professor Paolo Grossi non si limitava a insegnare Storia del diritto italiano. Dispensava cultura a tutto tondo, invitava noi studenti a trovare l’alba di un paesaggio nel grigiore apparente di un brocardo o di un atto notarile del Duecento.
Paolo Grossi se n’è andato la notte scorsa. Arresto cardiaco nel sonno. Lucido fino all’ultimo, avrebbe compiuto novant’anni a gennaio. Fra il 2016 e il 2018 fu presidente della Corte Costituzionale, di cui era giudice dal 2009, su chiamata del Capo dello Stato Giorgio Napolitano.
Dall’anno precedente aveva lasciato la docenza alla facoltà di Giurisprudenza a Firenze, avviata ventiduenne, dopo la laurea, come assistente di Ugo Nicolini. Non c’è studente che, magari maledicendolo un poco per la pignoleria di fare l’appello a metà lezione e di modellare il voto sul numero di assenze, non ne riconoscesse l’autorevolezza, la statura morale, oltreché intellettuale. Doti che il professor Grossi stemperava con la disponibilità al dialogo, la generosità nelle
indicazioni bibliografiche e in suggestive digressioni dai pur ampi confini della materia: il diritto è specchio dei tempi ed è possibile e bello trovarvi riscontri nella storia civile e religiosa, nella glottologia, nella letteratura, nell’arte. Perfino in una sinfonia. Grazie alle sue lezioni di storia, noi studenti apprendevamo le basi del diritto contemporaneo e mettevamo ordine nelle confuse, per quanto fresche, reminiscenze di molte materie studiate al liceo.
Fu sempre cosi legato alla “sua” Facoltà, che dopo l’alluvione del 1966, Paolo Grossi trasferì il proprio letto nel palazzo di via Laura 48, per far da sentinella al patrimonio librario, facile preda di ladri e sciacalli. Il gesto gli valse, anni dopo, la citazione fra gli Angeli del fango e nell’immediato la simpatia e la gratitudine dei goliardi del Podvs, che coloravano l’ateneo in quegli anni di grandi fermenti e coi quali il professore avrebbe fino all’ultimo intrattenuto un’arguta e cordiale consuetudine.
Il ricordo dell’uomo non potrà mai offuscarne i meriti scientifici e accademici. Fondatore del
“Centro studi del pensiero giuridico moderno” e dei relativi “Quaderni Fiorentini”, Grossi ha
firmato oltre cento monografie giuridiche (spesso licenziate dal buen retiro di Citille in Chianti), scandagliando ogni dettaglio, dal diritto privato nell’amatissimo Medioevo alle Costituzioni moderne. Ha fatto scuola, Grossi. Allevando fior di docenti come Maurizio Fioravanti, Bernardo Sordi, Pietro Costa, Paolo Cappellini. E fece barriera finché potè al trasferimento anche delle facoltà umanistiche al polo di Novoli. Un esodo che avrebbe rotto la tradizione e impoverito il centro storico, cui fece argine donando i diecimila volumi del proprio fondo a Villa Ruspoli di piazza Indipendenza, riempiendone gli scaffali rimasti esangui, restituendo il soffio della cultura a quel luogo che lui stesso fece acquistare alla Facoltà, di cui fu preside. Quella zona di Firenze, non lontana dalla sua casa, ora non vedrà più il professore transitare a piedi, fra misurate soste a pranzo da Cafaggi e lunghe ore fra i libri che furono suoi e ora appartengono a tutti. Sempre elegante, sobrio, inappuntabile. Uomo di altri tempi, perfettamente calato nel suo tempo.
Piero Ceccatelli