
Un festival di quattro giorni organizzato dal Coordinamento Anpas Firenze "Sempre più famiglie in difficoltà: volontari mobilitati per battere il disagio".
di Sandra Nistri
FIRENZE
Quattro giorni per incontrarsi e divertirsi ma anche per riflettere, tra musica, spettacoli e incontri. Questo il filo conduttore di “Incontriamoci in ZonA“, il primo festival di Anpas Zona Fiorentina, in programma dal 3 al 6 luglio nel parco di Villa Favard a Rovezzano, con ingresso libero. Ne parliamo con Giovanni Ghini fino a poche settimane fa presidente della Fratellanza Militare di Firenze e membro del Gruppo di coordinamento di Anpas Firenze.
Come nasce questa manifestazione?
"Nasce perché le Pubbliche Assistenze, ormai da qualche anno, hanno intrapreso un cammino che va un po’ oltre, diciamo, la mera erogazione del servizio, di emergenza o meno, verso i cittadini. Siamo noi a entrare nelle case, non il cittadino che viene da noi. Questo ci permette di osservare in maniera diretta, capillare e attenta quali sono i bisogni reali sul territorio. Da qui è nata l’idea di organizzare questa manifestazione che, mettendo insieme Istituzioni e associazioni, possa arrivare magari alla fase di coprogettazione sul tema che ci siamo dati quest’anno, quello della povertà".
Perché è stato scelto il tema della povertà?
"Perché, purtroppo, la povertà è in forte crescita, come rilevato dal recente rapporto Istat, e noi già da tempo lo vediamo. Così come sta cambiando il concetto di povertà e di chi si può considerare povero".
Cioè, chi sono i nuovi poveri?
"I nuovi poveri iniziano a essere le famiglie e ce ne accorgiamo bene con le nostre attività, a partire da mense e distribuzione dei generi alimentari e non. Siamo abituati a pensare ai poveri identificandoli in persone che vengono da fuori e hanno difficoltà a inserirsi e certamente c’è anche questo, ma inizia a sentirsi in maniera preponderante la povertà delle famiglie il cui stipendio non è più adeguato. Abbiamo casi in cui marito e moglie lavorano entrambi, ma non riescono più a coprire le spese ordinarie e chiedono supporto per pagare affitto, mutuo, libri di scuola".
In questo quadro come incide il calo generale dei volontari?
"Il problema c’è ed è in forte crescita. Il volontariato, purtroppo, esiste in una società del benessere, è terribile da dirsi ma è la verità. Durante il Covid o le più recenti alluvioni nei Comuni intorno Firenze abbiamo assistito a cose molto belle: generi alimentari lasciati fuori dai negozi con la scritta ’Chi non può pagare prenda’ oppure la spesa fatta alla signora del piano di sotto che non può uscire per non parlare delle migliaia di studenti che si sono attivati in autonomia per andare a spalare il fango. Questo però non è volontariato, finita la percezione di emergenza che attiva un sentimento di mutualità, in realtà pochi restano a fare volontariato perché la mutualità è diversa dal volontariato. Fare volontariato è una scelta consapevole di esercizio della propria cittadinanza, di appartenenza a una comunità".
Quindi manca il senso di cittadinanza?
"Il senso di cittadinanza in un contesto come quello attuale viene sempre meno, ma il volontariato risente chiaramente delle ripercussioni della quotidianità dei cittadini. Poi dipende anche dal tipo di volontariato: se vado a consegnare una minestra calda a chi è senza fissa dimora lo posso fare anche tre ore al mese, non ho bisogno di formazione particolare. Diverso e, ad esempio, il servizio in ambulanza che richiede una lunga formazione ma anche un impegno costante con la predisposizione di turni. Se vogliamo volontari consapevoli è necessario coinvolgerli sul piano dell’educazione fin da piccoli".