Vichi
Guardami negli occhi quando parlo disse il dottor Speranza. “Mi scusi, signor direttore... Se mi permette... mi ero distratto...” disse Fiore. Il direttore fece un sospiro magnanimo. “Insomma ti vorresti divertire...” disse, con un sorriso che non avrebbe fatto in nessun’altra occasione. “Se posso permettermi, signor direttore... io amo la pasta, cucinarla e mangiarla.” “Tutti i giorni dovrai andare dai carabinieri a firmare, e ti consiglio di non sgarrare.” “Non succederà, signor direttore.” “Be’, vedi di non fare il coglione. Puoi andare.” Il dottor Speranza chiamò il secondino premendo un bottone, e un attimo dopo si aprì la porta. “Comandi, signor direttore” disse il secondino. “Portalo via” disse il dottor Speranza. “Grazie delle belle parole, signor direttore” disse Fiore. Il secondino lo prese per un braccio e lo tirò verso la porta. “Ossequi, signor direttore” aggiunse Fiore. “Ossequi, signor direttore” disse il secondino. Di fronte al dottor Speranza parlavano nello stesso modo, pensò Fiore. Il direttore non rispose al saluto, e prima ancora che il secondino avesse richiuso la porta aveva già ripreso in mano il giornale. Era quello il potere. Non salutare nessuno e stare in un grande ufficio a leggere il giornale. Il secondino riportò il detenuto alla sezione di Alta Sorveglianza e se ne andò senza dire una parola. Nelle celle non c’era nessuno, erano tutti in cortile a giocare a calcio. Ci sarà stato anche qualche secondino, come sempre. Di lontano si sentivano le grida e le bestemmie. Fiore entrò nella sua cella. C’era stata una perquisizione, e tutta la roba degli armadietti era stata buttata per terra. Nulla di nuovo, succedeva molto spesso. Fiore rimise tutto a posto con pazienza, anche le cose degli altri. Facendo qualcosa il tempo passava più velocemente. Poi si fece un caffè, senza fretta, e lo bevve seduto sul letto. Con quella vecchia macchinetta non veniva un buon caffè, ma ci si era abituato. Invece alle schifezze che mangiava in carcere non ci si era mai abituato. Gli era sempre piaciuto mangiare bene, e sopra ogni cosa gli piaceva la pasta. Cucinarla e mangiarla. La sapeva fare in tutti i modi. Al pomodoro e basilico, alla carrettiera, alla carbonara, alla puttanesca, al sugo di carne, al pesto, ai frutti di mare, con le zucchine, con le cime di rapa, con la zucca, burro e parmigiano, con i tartufi, aglio olio e peperoncino e anche ogni altro tipo di condimento, anche improvvisato. Era un fanatico della pasta, avrebbe potuto vivere di soli spaghetti. E invece in carcere si mangiava male soprattutto la pasta. Anche il resto bisognava mandarlo giù con gli occhi chiusi, ma la pasta era davvero terribile. Non riusciva nemmeno a masticarla, perché si scioglieva prima. Per uno come lui, che amava la pasta al dente, era una vera sofferenza. Per questo non riusciva a dimenticare quella volta degli spaghetti e quel bastardo di Bobo. “Tra una settimana esco” pensò, e la prima cosa che gli venne in mente fu proprio di andare a fare una visita di cortesia a quel maledetto secondino grasso. Finì il caffè e riempì di nuovo la tazza di plastica, poi tornò a sedersi sul letto. Dalla finestra si vedeva un pezzetto di cielo pieno di sole, e dal cortile arrivavano gli urli dei detenuti che giocavano. Ma lui era lontano. Era già davanti a quel secondino grasso a regolare la faccenda degli spaghetti di sette anni prima. Erano spaghetti burro e parmigiano. Ci aveva messo un sacco di tempo a farli. Prima aveva schiacciato il burro nella scodella con la forchetta, fino a farlo diventare una crema spumosa che a soffiarci sopra ci veniva il buco. Era un sacco di tempo che non vedeva un panetto di burro in quel modo, bianco come il latte. Glielo aveva mandato sua sorella per Natale. Gli aveva mandato anche un piccolo pezzo di parmigiano e un pacco di spaghetti di quelli ruvidi e grossi. Lui aveva grattugiato un po’ di parmigiano e lo aveva messo in una tazza. Poi aveva buttato gli spaghetti, quasi mezzo pacco, e li aveva tormentati con un mestolo per tutto il tempo. Prima di scolarli aveva messo via un bicchiere di acqua di cottura. Aveva rovesciato gli spaghetti non troppo scolati nella scodella foderata di burro morbidissimo, li aveva girati quanto si doveva, poi aveva messo il parmigiano e aveva continuato a mescolarli. Alla fine aveva aggiunto un po’ di acqua di cottura e un po’ di pepe. Anche solo a guardarli si vedeva che erano buoni.
4-continua