
Domani le cerimonie per ricordare il campionissimo di Ponte a Ema. Vincitore di due Tour, salvò la vita a centinaia di ebrei senza mai dirlo.
Alessandro Fiesoli Sembra di rivederlo, in maglia gialla due volte sull’Izoard, a lasciare per sempre la sua impronta nella storia del Tour, unico campione capace di rivincerlo a dieci anni dalla prima volta, nel ’38 e nel ’48, e del ciclismo. Serge Lange, firma storica del giornalismo francese e inventore fra l’altro della coppa del mondo di sci, e che di Giri di Francia ne aveva seguiti quarantanove, lo riteneva il più bel vincitore di sempre. Erano fatti l’uno per l’altro, Gino Bartali e il Tour. Un altro giornalista francese, Daniel Arras, in una di quelle cronache ciclistiche che oggi possono apparire retoriche ma all’epoca accendevano la passione, si immaginava così il dialogo fra il Grande Vecchio, come lo chiamavano, e la montagna: "Sono io, Gino Bartali, mi riconosci Izoard?". Sembra di rivederlo passare, Gino, anche in maglia rosa sul Pordoi, spingendo quei rapporti impossibili per tutti gli altri, quando il Giro raccontava quell’Italia che stava rinascendo dopo la guerra. Oppure sul vialone di Sanremo, in una delle sue imprese più sorprendenti, capace di battere in volata il principe dello sprint, Rick Van Steenbergen. O nel suo ultimo titolo italiano, a 38 anni, lui, Ginettaccio, l’"uomo di ferro", ancora capace di tener testa a Fausto Coppi, di cinque anni più giovane. Ancora oggi sembra di risentire la sua voce, quel borbottare profondo, incessante. E di veder spuntare di nuovo quel naso, con una strana stellina nel mezzo, ricordo di una caduta a Grosseto nel giro del Maremma del 1934, in una volata con Aldo Bini,il primo, grande rivale dei suoi anni giovanili. "Quel naso triste come una salita, e quegli occhi allegri da italiano in gita", per ricordare i versi intramontabili di Paolo Conte. Intramontabili come lui, Il 5 maggio di venticinque anni fa, Gino Bartali ci lasciava. Ma state attenti, perché non se ne è mai andato. Bartali corre ancora, è sempre in gruppo, vince ancora. Il suo mito, accanto a quello di Coppi, semmai rafforzato con gli anni, è sempre vivo, e vivrà per sempre. Non solo come grande campione, anche come eroe civile, Giusto fra Le Nazioni per il suo impegno a favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, staffetta della pace fra Firenze e Assisi. La sua lezione di coraggio, lealtà, bontà, tre parole che solo a scriverle tutte insieme ci fanno sentire francamente molto piccoli al suo confronto, è sempre attuale ed è la grande eredità che ci ha lasciato, insieme alle sue vittorie. Gino, per ricordare uno dei tanti episodi che vanno al di là dello sport, che sul podio del Tour del ’38, al Parco dei Principi, si rifiuta di fare il saluto fascista, "perché come mio superiore riconosco solo Nostro Signore", disse, lui, detto per questo anche il "Pedale di Dio". Ricordare Gino su queste pagine vuol dire anche rendere omaggio a quella sua Firenze, alla grande tradizione del ciclismo fiorentino, con Nencini, l’altra maglia gialla di Firenze, Martini, Bitossi, Ballerini, Mugnaini, Poggiali, Linari, Sacchi, e su queste pagine, se ci è consentito, anche alle firme de La Nazione che ne hanno raccontato per decenni le imprese, Mario Liverani, Beppe Pegolotti, Giordano Goggioli, Raffaello Paloscia, Giuliano Mazzoni, Sandro Picchi che ha tratteggiato in modo impareggiabile il personaggio Bartali, in tutta la sua grandezza. Di Gino, come testimonianza diretta, vorremmo ricordare quella sera a Lourdes, nel giorno di sosta del Tour del ’94. Era una cena di gala con tutte le maglie gialle della storia, e quando lo andammo a prendere, per un’intervista, verso mezzanotte, al ritorno dal tappone pirenaico vinto da Virenque su Pantani, lo trovammo al centro di una fantastica tavolata, festeggiato con grande affetto da Merckx, Hinault, Gimondi, Bahamontes, LeMond. Domani Gino sarà ricordato al museo che porta il suo nome, a Ponte a Ema, e bisogna ringraziare la famiglia Bresci, il compianto Andrea e oggi suo figlio Maurizio, se la memoria di Bartali ha una sua casa. Bartali è stato un grande di Firenze, la sua storia merita uno sforzo in più da parte dell’amministrazione comunale per sostenere il museo, e non lasciare che sia solo il volontariato di pochi a mantenerlo in vita. Certe salite sono dure per tutte, e allora in Palazzo Vecchio qualcuno la prenda e la riempia, questa borraccia. Bartali aveva molto a cuore i giovani, ed è anche ai giovani di oggi che andrebbe raccontata la sua storia di uomo e di campione. Ne ha fatta tanta di strada, Gino, con quei suoi sandali, ma quella strada può essere ancora molto lunga, in suo nome. E noi siamo sempre qui, ad aspettarlo su un paracarro. Si è sempre in tempo a diventare bartaliani.