Don Francesco
Vermigli
A chi grida il proprio dolore, le proprie sofferenze e le proprie paure si deve sempre rispetto. Il rispetto dovuto a chi vede la propria vita ondeggiare tra le onde di un mare in tempesta. Il rispetto che si deve a colui che gridando fa un appello, una richiesta di aiuto. Chi grida, anche chi lo fa apparentemente nel vuoto, chi grida sempre infatti chiede qualcuno che lo ascolti. Attende qualcuno, lo desidera, spera di essere ascoltato. Il cuore si squarcia, la voce prorompe; cercando qualcuno che lo liberi. Accade questo nel Vangelo che ci accompagna in questa domenica (Marco 4, 35-41). Al calare della sera, all’imbrunire, Gesù è insieme ai suoi discepoli sulla barca. Una tempesta li sorprende e tutto sembra perduto. Eppure Gesù dorme. A Lui i suoi discepoli chiedono aiuto, gridando: "Maestro, non t’importa che siamo perduti?". È il grido di chi teme per la propria vita, di chi vede tutto svanire. Il grido di chi cerca qualcuno che lo ascolti. Gesù si sveglia, calma il mare e dice: "Perché avete paura? Non avete ancora fede?". Qualche volta sembra anche a noi che Gesù dorma nella barca della nostra vita in tempesta. Abbiamo paura, siamo squassati dalle preoccupazioni e lui sembra indifferente, distratto, disinteressato alla nostra sofferenza. Allora gridiamo e gridiamo sempre più forte. Perché, come dicevamo, ogni grido di aiuto è un appello fatto a qualcuno che ascolti la nostra sofferenza, il nostro dolore, le nostre paure. Gesù sembra dormire; ma in realtà sta lì, ad aspettare che qualcuno gridi a lui.