di Carlo Casini
Per la generazione dei quarantenni sono stati sinonimo di lunghe serate davanti a una birra e, se fuori era freddo e piovoso, era ancora più bello stare lì dentro. Prima che fossero soppiantati da quei locali tutti bianchi e asettici, frequentati da imberbi coi risvoltini, hanno vissuto il loro periodo di gloria anche a Firenze.
Sono gli Irish pub, che a cavallo tra i due millenni hanno visto il boom anche qui: non c’era quartiere che non ne avesse almeno uno, ma la zona dei pub per antonomasia era quella tra il Duomo e Santa Croce.
E proprio qui ce n’è uno che sopravvive in barba ai poké e sushi e fu anche il primo – anzi il secondo – ad aprire: è il Lion’s all’arco di San Pierino. Merito di un calciante di parte rossa, che con lungimiranza imprenditoriale portò nella città del giglio quel locale d’Oltremanica fino ad allora sconosciuto.
"Nasce nel 1995 dopo un anno che avevo aperto l’Old stove (altro pub storico in via Pellicceria) – racconta Fabio Crescioli – A Firenze c’era solo il Fiddler’s in Santa Maria Novella, ma non era gestito da fiorentini. Sono stato il primo fiorentino ad aprire un pub irlandese, senza servizio al tavolo e con la misura delle birre in pinte (0,586 litri) più grande della media italiana (0,4 litri). Sono sempre stato innamorato di queste atmosfere; finito il militare ho lavorato per due mesi in un pub a Camden Town e mi sono rimaste nel cuore. Poi ci si è messo di mezzo anche il caso: primo locale non doveva essere un pub, però amici comuni mi fecero conoscere Roberto Pagnini, che sarebbe diventato il mio maestro: una sera mi fece vedere questo ‘Guinnes project’, ce n’erano due in tutta Italia e mi si aprì un mondo, è stata una grande scommessa: però credo che lo spirito dell’imprenditore sia anche questo, un po’ il rischio lo devi amare".
"Ho sempre creduto nell’originalità di quello che facevo: per me un pub deve essere un pub; dal ‘95 a oggi si è trasformato sì, ma seguendo ciò che avveniva in Irlanda e nel Regno Unito, ovvero i posti dove i pub prosperano al di là di ogni immaginazione Ho inserito la pay tv per le partite e soprattutto il food cercando di mantenere uno stile coerente: hamburger, alette, fish&chips, tacos, patatine fritte in tutti i modi, mentre ho lasciato fare bistecca, pizza, spaghetti, che avrebbero minato l’autenticità del luogo. Non ho mai potuto vedere le insegne ‘bar pizzeria pub ristorante’: allora fai tutto te!"
Il core sono gli studenti americani, eppure il Lion’s trasuda animo fiorentino:
"È un covo viola – afferma senza esitazioni – ma anche un punto di incontro degli appassionati di Calcio storico senza distinzione di colore. Sono stato un calciante e ho fatto l’allenatore per vent’anni, ora sono nelle vecchie glorie che radunano tutti e quattro i colori e durante l’anno facciamo tante partite per beneficienza"
"Il rione in questi trent’anni? Durante il giorno è cambiato in meglio, è andato via tutto quel degrado con stazionamento di tossicodipendenti, adesso è un fiore all’occhiello di Firenze. Purtroppo però ci abitano meno fiorentini: come tante altre parti del centro, lo hanno abbandonato principalmente per il poco parcheggio e la microcriminalità notturna, ancora radicata nonostante l’ottimo lavoro delle forze dell’ordine".