
di Titti Giuliani Foti
"La nostra Fiat Cinquecento che quasi esplodeva correndo in autostrada con il tetto pieno di bagagli, col remo del canotto che spuntava come una bandiera che non sventolava, ma solcava il vento come l’aratro la terra. Sono stato bambino e adolescente negli anni ‘60 quelli del boom economico. E così, ripieni, partivamo per la villeggiatura. Destinazione Versilia: Camping Paradiso". Sergio Bini in arte Bustric, fiorentino, classe 1953: storia vacanziera del maghetto dei maghi italiani, storia di un illusionista romantico e già prestigiatore contro il pensiero dell’austero silenzio invernale. Bustric, cioè Sergio Bini, e le mille trovate di uno spiritoso, colto re del palcoscenico, capace di ingannare e poi spiegare col sorriso l’inganno di una o mille magie. Nessuno come lui sa che la presunta verità è come buttare una palla contro il muro, tutto quello che dice gli può rimbalzare addosso.
Villeggiatura cioè quanto condizione transitoria?
"La prima volta a Viareggio fu a 14 anni in treno: con mia madre, mio fratello, mia sorella, il babbo e io. Per la prima volta tutti assieme. Ma il grosso dei bagagli viaggiava in moto col babbo sull’intoccabile Gilera. L’auto era un lusso che sarebbe arrivato anni dopo. La prima villeggiatura mi è rimasta dentro come quando si scrive per dimenticare, e poi invece, si finisce per ricordare tutto".
Dunque la famosa prima volta?
"Siamo da sempre legatissimi mia sorella e io. E anche quella famosa prima volta sbagliammo stazione insieme e mio padre ci recuperò a quella successiva con ore di ritardo. Era il nostro primo viaggio da soli e ci perdemmo; oggi sarebbe vissuta come una tragedia, con decine di giornalisti a indagare su due bambini sperduti. Invece a quel tempo era possibile e addirittura non accadeva niente di drammatico. Incredibile: siamo riusciti a vivere senza cellulari".
Mettersi a fuoco guardando indietro.
"Eravamo un gruppo di famiglie, amici del babbo: ricordo le tavolate lunghe come binari per mangiare assieme, quando si dividevano spese e divertimento. C’erano il campeggio, il mare, le passeggiate e tante risate. Il rito del gelato la sera, la pelle che restava salata e questa cosa: ridere sempre".
I genitori.
"Mia madre ogni mattina aveva la mania di appoggiare sul tetto della tenda coperte e materassini. Mio padre le ripeteva irritato: La tenda un giorno o l’altro verrà giù. E lei faceva spallucce, ignorandolo. Finché la tenda venne giù davvero e il babbo senza dire parola prese la moto e se ne andò che pareva una furia. Ricordo ancora la paura di non vederlo mai più tornare".
E la mamma?
"Lei ci tranquillizzava: a cena torna, diceva. Garantito. E infatti era così: le sue parole rassicuranti hanno segnato un po’ la mia vita. Tutte le volte che ho avuto bisogno di prendere quota mi sono rivolto alla mamma. Quel famoso giorno lui tornò e si sedette a tavola e si mise a mangiare un po’ ingrugnito, senza dire una parola. Poi nostri sguardi si incrociarono e scoppiammo a ridere. Ho imparato dalla mia famiglia il senso di condivisione e anche dell’ironia".
E com’era baby Bustric?
"Sono stato boy scout, tra i Giovani esploratori italiani, il primo passo verso la libertà. Nel campo scout dovevo fare da solo, lì ho imparato anche a cucinare. Il massimo della trasgressione erano le nostre fughe notturne dalle tende, magari nel paese che ci ospitava. Ma ho anche imparato il rispetto della natura, la solidarietà con i compagni e la responsabilità. Mi è stato utile essere scout ogni volta che anche da adulto ho dovuto contare solo sulle mie forze. Diciamo che arrangiarsi è un po’ come costruire uno spettacolo dove ci vogliono le famose briciole, la perseveranza e la tenacia, ma soprattutto la fiducia. Si deve credere in noi stessi per ritrovare la strada come una bussola nel bosco>.
Colori, sensi e sentimenti d’estate.
"Stavamo con amici e amici degli amici: in campeggio sperimentavamo la vita di comunità. Ricordo il twist, il ballo del momento, io che mi muovevo istintivamente bene facevo i miei primi spettacolini di danza. E in campeggio trovai anche il modo per guadagnare qualcosa: compravo il cocomero e lo vendevo a fette ai turisti".
Bustric: villeggiatura uguale?
"Non fare assolutamente niente. Stare in acqua fino ad avere le mani lessate con le righine sui polpastrelli, bruciate dal sale. Ozio. Anche oggi quando mi annoio, come da bambino, comincio ad immaginare, mi faccio compagnia con idee e progetti. Sperimento vie".
Come si materializzano i sogni?
"Durante il confinamento causa Covid ho sentito la paura. Ho ancora il senso dell’impossibilità di lavorare e allora ho ricercato, studiato e mi sono fatto forza con quelle sensazioni della villeggiatura. E all’improvviso ho risentito la voglia di libertà. Sono riuscito a costruire il Circo delle pulci del Prof. Bustric. Mi interessava l’idea di creare un dialogo con un mondo invisibile, ma che tutti vedono e immaginano e dedicarlo idealmente a quei momenti felici. Se siamo poveri possiamo vantarci almeno di conoscere milioni di parole. E’ un patrimonio detassato e capace di mantenermi all’onore del mondo. Tutto questo l’ho capito grazie ai miei che con la loro vita mi hanno insegnato a pensare che fosse possibile materializzare i sogni. E tutto questo grazie alla villeggiatura che fu: una soddisfazione sensoriale".