Enrico Rossi: "Conte ha ceduto alle pressioni. Un metro di distanza? Inutile"

La nostra intervista al governatore della Toscana sulle riaperture: "Da lunedì un bomba libera tutti pericoloso, avrei preferito una maggiore gradualità"

Enrico Rossi

Enrico Rossi

Firenze, 17 maggio 2020 - Alla fine hanno vinto le categorie e le Regioni sostenitrici del metro corto. Lunedì 18 maggio sarà un bomba libera tutti: aprono negozi, bar, pasticcerie, ristoranti, gelaterie, parrucchieri e centri estetici. Per buona pace del mondo scientifico che contesta la validità protettiva di una distanza interpersonale di cento centimetri all'interno dei locali. Il governatore toscano Enrico Rossi butta giù la pillola amara, convinto che le aperture per scaglioni successivi, con i dati del monitoraggio alla mano, avrebbero garantito di più tutti e tutto: salute ed economia, evitando anche il rischio di un possibile lockdown nel pieno della stagione turistica. Sarebbe un disastro. Per lui i due metri sono 'bibbia'. Ma ora non resta che sperare che vada tutto bene.

Presidente, il metro di sicurezza sarà sufficiente o lei continua a suggerrire i 180 centimetri di distanza interpersonale?

“Assolutamente, io continuo a raccomandare un metro e 80. Quella è la misura giusta. Capisco certi ristoratori, ma mi chiedo che senso abbia porre il limite di distanza di un metro. A questo punto converrebbe neppure metterla, perché rischia di essere un paletto inutile. Mi domando però se, in questa fase, un locale, una pizzeria, un bar o una trattoria organizzati in questo modo siano realmente attrattivi per i clienti”.

Però le disposizioni Inail sembravano eccessivamente penalizzanti...

“Sicuramente erano eccessive e andavano riviste senza penalizzare nessuno. Ed è certo che i metri devono essere uguali su tutto il territorio nazionale. Però posso dire che da usare un metro unico per tutt'Italia a ridurre tutto alla distanza di un metro, ce ne passa...”.

Insomma Conte è rimasto ostaggio delle Regioni in pressing, delle opposizioni e delle categorie e alla fine ha ceduto?

“La pressione è stata evidente, da parte delle categorie e di alcune Regioni, anche quelle che adesso continuano a mostrare un andamento dell'epidemia non certo ottimale, come invece lo è il nostro in questo momento. Io avevo chiesto di riaprire prima, poi di scaglionare. Già dall'11 maggio ero pronto a far riaprire i negozi di abbigliamento e di calzature che rischiano di perdere un'intera stagione di guadagni. Così come avevo proposto di anticipare al 27 aprile la ripartenza delle attività produttive esposte alla competizione internazionale. Se fosse stato per me, non avrei completamente bloccato la produzione, ma rallentato e controllato, senza lasciare il via libera in mano al silenzio assenso delle prefetture. Gran parte del mondo industriale del Nord, di fatto, non si è mai fermato”.

Secondo lei, questo, è un decreto populista?

“Forse non mi esprimerei con queste parole. Sicuramente risponde a una pressione forte che c'è in alcuni elettori, ma non so se la maggioranza degli italiani condivida questa decisione. Queste vicende devono essere governate con raziocinio, altrimenti passa un messaggio negativo: che il virus non c'è più e che si può far tutto. Non è così. Al momento ci sono due strumenti che devono guidarci: i nostri comportamenti prudenti e corretti e il sistema sanitario che deve intercettare quanti più positivi possibile. Nell'ultima settimana in Toscana l'80% dei casi positivi rintracciati, soprattutto grazie allo screening sierologico, è asintomatico”.

Però alla fine, tra bracci di ferro, rinvii e ribaltoni si apre tutto e subito. E addio alla gradualità che lei auspicava...

"Venerdì mattina avevo apprezzato tutte le dichiarazioni del presidente Conte, purtroppo la notte ha ribaltato tutto. E l'idea di scaglionare, che condividevo, si è dissolta alle  prime luci dell'alba. Dopo un'altra notte di battaglia si apre tutto.  Ma si capisce che quando si dà il via libera, oltre ai negozi al dettaglio, a bar e ristoranti, servizi e si aggiunge libertà di movimento alle persone, di fatto il governo dà un messaggio in cui dice che lunedì 18 maggio è la seconda grande tappa della riapertura definitiva. Io avrei preferito maggiore gradualità”.

Il suo voto al governo?

«Complessivamente non si può dire che l’Italia si sia comportata in maniera insufficiente. Poteva essere chiusa prima la Lombardia: è stato un errore far sapere del lockdown in anticipo, perché i milanesi sono scappati come nella peste del Manzoni, portando il contagio altrove. Poi più che a un blocco totale delle attività produttive avrei pensato a un’azione scaglionata. Un giorno potremo parlare anche dell’azione economica».

Non ha pensato a un’ordinanza toscana più restrittiva?

«Mi aspettavo che potessero decidere le Regioni. In Toscana, anche se non tutti pienamente d’accordo, ci eravamo confrontati su uno scaglionamento. Poi il governo ha deciso da solo di riaprire la quasi totalità delle attività e con un decreto legge di mandare in giro la gente anche nelle seconde case. Qualsiasi provvedimento restrittivo sarebbe stato vanificato dalla libera circolazione dal 3 giugno. Non posso penalizzare cittadini e imprese toscane».

Quali sono i rischi del bomba libera tutti?

“Lo dicono tutti gli epidemiologi. Si teme che aumentando i contatti fra le persone crescano i contagi. Non bisogna dimenticare che il ministero della Salute ha elaborato un piano di controllo che costringe alla chiusura, a nuovi lockdown e zone rosse, se non si rispettano i parametri sulla diffusione del virus. La gradualità, unita al monitoraggio dei dati, avrebbe fatto sì di non rischiare di dover tornare indietro. Anche per la tutela dell’economia, sarebbe stato un modo per salvaguardare il cuore della stagione turistica».

Dopo il 2 giugno, via libera alla mobilità interregionale ed europea...

«Bisogna riflettere sulla possibilità di un criterio che ci consenta di tutelare la salute di tutti, residenti e vacanzieri. Penso a uno screening sierologico ma vediamo anche cosa mi consentono di fare».

Zaia si è attribuito l’invenzione dei tamponi a tutti, le si sente un po’ il padre dello screening sierologico di massa?

«In Toscana siamo stati i primi ad avere intuito l’utilità del test sierologico. All’inizio mi hanno anche redarguito, ma si stanno allineando».

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