GERALDINA FIECHTER
Cronaca

Diana e Carlo, quella storica visita. La festa e l’abbraccio di Firenze

Nell’aprile 1985, la città ai loro piedi. Pranzi e cene studiate nei dettagli. Firme d'onore: martedì 24 novembre con La Nazione in edicola gli autografi di Carlo e Diana e di Mario Luzi

Diana e Carlo

Firenze, 23 novembre 2015 -  DOVEVANO arrivare in autunno, tutto era pronto per accogliere la coppia del secolo. Poi lei rimase incinta del secondo figlio, Henry, e rimandarono alla successiva primavera. Per nulla al mondo Diana e Carlo d’Inghilterra si sarebbero persi il viaggio a Firenze e in Toscana, terra che il Principe ha sempre amato intessendo amicizie e interessi che ancora coltiva. Era l’aprile del 1985. Tempo mite e una città ai loro piedi. Lui sorridente e a suo agio, lei una giovanissima donna, 24 anni appena, timida e schiva. Tutto, nella sua breve e malinconica vita, doveva ancora succedere.

Le cronache di allora raccontano di giri vorticosi nei Palazzi e nei Musei fiorentini, dei pranzi e delle cene studiati fin nei minimi dettagli, dell’accoglienza festosa e incessante dei fiorentini, dell’impeccabile cerimoniale del Comune, ma i riflettori più grandi, la curiosità più accesa, era sempre per lei, la Principessa, l’esile dama bionda che era entrata in punta di piedi nella fiaba reale inglese e che, suo malgrado, si stava preparando a diventarne la protagonista. Com’era vestita? Si vedeva ancora la pancia? Cosa ha guardato, dove si sono appuntati i suoi occhi? Pochissime parole, stando alle cronache, sarebbero uscite dalla sua bella bocca in quei quattro giorni fiorentini (e toscani): un piccolo lamento sui pasti eccessivi (lo avrebbe confidato al corpo consolare), lo stupore per la gigantesca impresa pittorica de “Le conseguenze della guerra” di Rubens a Palazzo Pitti (“Ma l’ha dipinta tutto da solo?”, avrebbe chiesto), e poi tanta rabbia nascosta per le critiche ossessive sul suo abbigliamento da parte della stampa popolare inglese e, per dovere di cronaca, rilanciate sui giornali italiani. “Veste come una commessa della Rinascente”, avrebbe detto una nobildonna italiana secondo i tabloid londinesi. Ma Diana ormai non poteva cambiare valigia, e nella giornata fiorentina più ufficiale e più fotografata ha indossato da mattina a sera un completo di giacca e gonna a tre quarti rosso pomodoro, come rossi erano i collant e rosse pure le scarpe. Scelta discutibile, per molti, e fu così che gli stilisti italiani si fecero avanti aprendo poi la strada al sodalizio con Versace.

Furono un centinaio i nobili e i notabili ammessi alla cena nella Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio, dove il sindaco Lando Conti e la moglie facevano gli onori di casa. E mentre in una piazza Signoria spazzata e luccicante una folla di fiorentini aspettava di vedere i Principi, Carlo si congedava con l’unico discorso pubblico fatto in quella visita: «Si dice che uno dei principali vantaggi che il popolo britannico abbia tratto dall’occupazione da parte degli antichi romani fosse il piacere del cibo e dei vini di questo Paese. Mia moglie e io possiamo certamente testimoniare, questa sera, che quei vantaggi non sono diminuiti nel corso degli ultimi duemila anni». Sveglia presto, il giorno dopo, per visitare San Miniato, Palazzo Pitti, gli Uffizi, e per concludere la giornata alla villa I Collazzi per una colazione privata dai Frescobaldi-Marchi. Arrivederci Carlo, che a Firenze tornerà molte altre volte. Addio Diana, che invece non tornerà mai più.