MICHELE BRANCALE
Cronaca

Firenze ricorda la deportazione degli Ebrei

Lo striscione portato in corteo: "Non c'è memoria senza futuro"

Memoria nel piazzale della sinagoga

Firenze, 15 novembre 2016 - L'attenzione dovuta alle celebrazioni dell'alluvione e anche il maltempo hanno fatto passare un po' in secondo piano, ma non dimenticare, l'anniversario della deportazione degli Ebrei di Firenze, che è stato ricordato domenica 6 novembre con un corteo silenzioso, da via del Corso alla sinagoga, convocato dalla Comunità di Sant'Egidio, insieme ai buddisti della Soka Gakkai, rappresentati da Daniele Santi, e ad esponenti di associazioni e movimenti, come i Focolari, con cento persone, tra le quali molti immigrati, anziani e un significativo gruppo di bambini.

'Non c'è memoria senza futuro', recitava lo striscione portato in corteo. Memoria di cosa? I dati sono essenziali. Il 6 novembre 1943 il comando nazista avviò a Firenze la cattura e la deportazione degli Ebrei fiorentini. Vennero arrestate oltre 300 persone. Il 9 novembre furono caricate sui treni diretti verso Auschwitz, dove arrivarono il 14 novembre. Solo 107 superarono la selezione per l’immissione nel campo: gli altri vennero immediatamente eliminati. Nell’elenco dei deportati figuravano anche otto bambini nati dopo il 1930 e 30 anziani, nati prima del 1884. La razzia venne salutata con entusiasmo dalla stampa fascista che inneggiava alla caccia all’ebreo. I tedeschi avevano completato l'occupazione di Firenze nel settembre 1943. Qui i nazisti poterono contare per la razzia sul sostegno attivo dei fascisti, in particolare su quello della banda Carità. Degli Ebrei deportati nei lager dal 6 novembre del '43 in poi, solo 15 tornarono indietro: otto donne e sette uomini.

Nel 2014 l'omaggio a questa memoria è stato puntualizzato sugli anziani ebrei deportati: il 25 maggio 1944 furono prelevati dall'Ospizio israelitico e ospedale Settimio Saadun, allora collocato in via Duca di Genova 6 (l'attuale viale Amendola), e deportati verso i campi della morte di Auschwitz-Birkenau 24 persone. Tra di esse, in larghissima maggioranza anziane, anche la giovane governante con due bambini di uno e due anni.

Nel 2015, invece, furono i rappresentanti della Comunità Armena, che ricordavano il Metz Yeghern, la deportazione e la morte di milione e mezzo di armeni in Turchia tra il 1915 e il 1916, a raggiungere con Sant'Egidio e con gli avventisti la sinagoga. Ad essi fu donato dalla Comunità Ebraica il volume 'Pro Armenia', con quattro voci personalità e testimoni ebrei che denunciarono subito quanto stava accadendo.

Quest'anno, invece, è stata la Comunità Ebraica – presente con il suo Presidente Dario Bedarida, il Rabbino Joseph Levi e Daniela Misul, responsabile per il dialogo interreligioso – a proporre la figura di Giorgio Nissim, figura di resistente non violento che operò con il Comitato di cui facevano parte Dalla Costa, padre Casini ed altre figure civili e di diversa provenienza che si opposero alla barbarie. Di lui ha scritto una biografia, per Giuntina, Alfredo De Girolamo che ha ricordato nel piazzale sinagoga alcuni tratti dell'uomo. Nissim ha dimostrato come sia “possibile vivere una vita al servizio del bene”.   

Nella mattina del 9 novembre la deportazione è stata ricordata, con la Comunità Ebraica, da studenti, cittadini e rappresentanti delle istituzioni, al binario 16 della stazione di Santa Maria Novella. Tra gli altri vi erano Matteo Palanti (Città Metropolitana), Caterina Biti (Comune di Firenze), Eugenio Giani (Regione) e ragazzo di Scandicci che, con alcuni testi, hanno rievocato il 9 novembre, giorno in cui i 300 ebrei fiorentini furono trasferiti in treno ad Auschwitz.

Tra il 6 e il 9 novembre si è invece collocato un convegno promosso a cento anni dalla nascita di Giorgio Bassani, curato dalla Prof. Anna Dolfi per l'Università degli Studi di Firenze: 'Gli intellettuali/scrittori ebrei e il dovere della testimonianza'.

Dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi tutti sono chiamati a cogliere questo dovere attraverso un frase del filosofo e scrittore spagnolo George Santayana (1863-1952), erroneamente attribuita a Primo Levi e Chuck Palahniuk che d'altra parte la citano più volte. Santayana la formulò ne 'La ragione nel senso comune', all'interno dell'opera in cinque volumi 'La vita della ragione' (1905-1906): "Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo". Con una variante che non ne modifica il senso troviamo questa frase - "Chi dimentica il passato è condannato a riviverlo" – a Dachau in trenta lingue.

C'è un filo di continuità che unisce gli ebrei lungo i secoli. La loro sapienza fermenta la storia, forgia l'interiorità dei singoli e dei popoli, con un'attualità sorprendente.

Lo scrittore ebreo e peruviano Isaac Goldemberg, nella sua recente raccolta di poesie 'Dialoghi con me e con i miei altri' (Ladolfi editore), osserva come il popolo eletto sia un popolo che pensa e il cui pensiero è spina per gli antisemiti. Citiamo la frase parafrasandone, dove necessario, il senso: “Non sono gli ebrei la spina conficcata/ nel cuore degli antisemiti,/ ma il loro pensare…/Cancellarli dalla memoria:/ (è l'illusione di) togliersi la spina”.