
Dentro per 18 mesi. Italia condannata dalla Corte Europea
Uno degli ultimi detenuti dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo riceverà un risarcimento per essere stato ingiustamente carcerato 18 mesi oltre i termini previsti dalla legge. A deciderlo è stata pochi gironi fa la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 5, comma 1 e 3 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Convenzione. All’uomo, un fiorentino del 1970, lo Stato dovrà versare ’solo’ 8mila euro, contro i 60mila che aveva richiesto. La sua odissea giudiziaria ha inizio nel 2003, quando viene condannato in primo grado per possesso illegale di armi e ricettazione. La Corte d’appello di Firenze, nel 2004, lo assolve per incapacità di intendere e di volere, ma stabilisce comunque che data la sua pericolosità è necessario internarlo nell’Opg di Montelupo per un periodo iniziale di 2 anni.
Negli anni successivi la misura di sicurezza viene prorogata. L’uomo – assistito dagli avvocati Michele Passione e Marina Mori (recentemente scomparsa) – viene in seguito spostato in diverse residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, e liberato solo a fine ottobre del 2016. A febbraio 2017, l’ultimo detenuto dell’ospedale psichiatrico viene trasferito e la struttura dismessa definitivamente, con due anni di ritardo rispetto alla previsione del 31 marzo 2015.
La liberazione dell’uomo, però, sarebbe dovuta avvenire al più tardi a fine marzo 2015, perché nel frattempo era entrata in vigore una legge (la 81/2014) secondo cui le misure di sicurezza non possono durare più a lungo dell’eventuale condanna. Nonostante che la giustizia italiana abbia riconosciuto l’illegalità del prolungamento dell’internamento, i tribunali, compresa la Corte di Cassazione nel marzo del 2018, hanno ritenuto che l’uomo non avesse diritto a un risarcimento, come richiedeva. Il legale si è così rivolto alla Cedu, che pochi giorni fa si è pronunciata.
Ieri, invece, sempre la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per aver violato il diritto di un detenuto – difeso dai legali Passione e Sollazzo – a non essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti, perché le autorità non sono riuscite a dimostrare di avergli garantito cure adeguate per i disturbi psichici e le tendenze suicide di cui soffriva. I togati hanno stabilito che l’Italia dovrà versargli 10 mila euro (ne chiedeva 50 mila) per danni e altri 8 mila per le spese legali.
P.m.