A che serve la memoria delle stragi nazifasciste se poi c’è Gaza? A che serve ricordare le vittime di Sant’Anna di Stazzema, commuoversi e indignarsi per la loro fine a ottant’anni dall’eccidio, se intanto l’esercito israeliano, col sostegno politico, militare, mediatico delle democrazie occidentali, quindi anche nostro, compie stragi ogni giorno nella Striscia? È da queste domande, da un disagio profondo, che nasce ’Un’altra memoria’. Se c’è qualcosa che abbiamo imparato graze alla riflessione sulla guerra contro i civili avvenuta in Italia fra 1944 e 1945, è che durante le guerre certe vite, quelle del nemico, anche della popolazione civile del nemico, non contano nulla, sono vite deumanizzate, annientabili a piacimento. E se la memoria serve a qualcosa, deve fare tesoro di questo insegnamento e trarne tutte le conseguenze, deve essere cioè un pungolo, un assillo, un monito, perfino un impedimento morale e politico in modo che niente del genere sia mai più ammesso. Perciò di fronte ai fatti di Gaza si è svelato un autentico fallimento dei luoghi della memoria, rimasti silenti e impotenti.
Ma la memoria collettiva è una cosa preziosa, è un motore dell’azione civile e un collante per la comunità, perciò di fronte al fallimento è necessaria un’opera di rigenerazione, che deve partire da un’analisi dello scacco subito. La depoliticizzazione della memoria, ridotta a ritualità, e la sua natura vittimistica (ricordiamo le stragi subite dai civili italiani, ma non quelle compiute dai soldati italiani in Grecia, Jugoslavia, Albania eccetera) sono due possibili spiegazioni del fallimento. E perciò visitare i campi di concentramento gestiti dall’esercito italiano a Gonars e Arbe può aiutare a ricostruire una memoria storica meno distorta. E mentre cadono una dopo l’altra tutte le istituzioni nate per prevenire le guerre – le Nazioni Unite, la Corti internazionali, delegittimate ed emarginate in questo frangente storico – diventa necessario pensare a una rigenerazione che nasca dal basso, dai movimenti sociali, i quali a loro volta hanno proprie memorie da tutelare e promuovere: la memoria di quando i movimenti furono la ’vera’ classe dirigente, per esempio a cavallo del Duemila, quando un movimento per la giustizia globale fu spezzato via con l’uso della forza invece d’essere considerato un interlocutore politico, o nel 2003 quando milioni di persone in tutto il mondo scesero in piazza contro l’invasione dell’Iraq: furono ignorate e cominciò il disastro che conosciamo. Un’altra memoria è necessaria e possibile.
Lorenzo Guadagnucci