
La storia di Amine
Firenze, 1 settembre 2025 - “La cosa che mi piace di più è sentirmi utile”. Quando Amine è arrivato in Italia, nel 2018, non aveva certezze, né punti di riferimento. Dopo un periodo in giro per l’Europa, si è ritrovato a Firenze e ha dovuto ricominciare da zero. Lo ha fatto con pazienza, determinazione e restando fedele a se stesso. Qui ha incontrato la Fondazione Solidarietà Caritas di Firenze con cui ora collabora per aiutare gli altri. “All’inizio l'arrivo in Italia è stato difficile – racconta –. Avevo lasciato molto alle spalle e non avevo niente davanti. Dovevo ripartire da capo. Ma dentro sentivo che valeva la pena provarci”. Uno dei primi passi è stato lo studio. Dopo pochi mesi dal suo arrivo nel nostro Paese, Amine, che in Marocco si era laureato in Diritto, si è iscritto all’Università. Un percorso interrotto in seguito per necessità lavorative, ma che ha rappresentato molto per lui: non solo come strumento di formazione, ma come chiave per entrare nella nuova società. “Lo studio è stato un modo per capire dove mi trovavo, chi ero in questo nuovo contesto, come ragionava uno studente italiano. Era un percorso parallelo, che mi aiutava a conoscere il Paese e anche a conoscermi meglio”. L’incontro con la Fondazione Caritas Firenze arriva quasi per caso, attraverso un’attività di mediazione linguistica con una giovane donna in arrivo da una situazione delicata. È lì che nasce il primo contatto con il mondo dell’accoglienza promosso dalla Fondazione. Un contatto forte, emotivo, in cui Amine si ritrova coinvolto profondamente. “Ricordo che tutto era nuovo. Non conoscevo la donna, non conoscevo ancora bene l’équipe. Ma ho capito subito che quello era un luogo dove non si resta indifferenti. La vita delle persone che accogli viene inevitabilmente a contatto con la tua”. Quella prima esperienza è stata l’inizio di una collaborazione che, nel tempo, si è trasformata in un lavoro stabile. Oggi Amine fa parte di un’équipe che opera in un centro d’accoglienza e segue anche appartamenti dell’accoglienza diffusa. Il suo ruolo è quello di operatore sanitario, ma come lui stesso spiega, “non c’è una linea fissa, non è matematica. Ogni giorno impari qualcosa di nuovo, ogni persona ti rimette in discussione”. Non ha mai vissuto l’accoglienza in prima persona, ma si ritrova spesso nei volti delle persone che incontra. Riconosce in loro la fatica del cambiamento, la paura di non farcela, la fragilità di chi è costretto a lasciare la propria casa, i propri affetti, per inseguire qualcosa che somigli a una possibilità. “In molte delle persone che accogliamo rivedo qualcosa di me. Ma so anche che ognuno ha la sua storia, le sue cicatrici. Alcuni hanno vissuto situazioni molto più pesanti della mia. Quando torni a casa la sera, ti accorgi che certe storie ti restano addosso. Provo a fare il forte, ma ogni tanto le lacrime scendono lo stesso”. Il suo approccio è fatto di discrezione e umanità. Non forza mai nessuno ad aprirsi, ma resta lì, presente, costante. Per lui l’accoglienza è uno spazio di fiducia, che si costruisce un po’ per volta, anche a costo di sbagliare, di dover ricominciare. Ed è qui che riconosce uno dei valori più importanti trasmessi dalla Fondazione: andare incontro all’altro, senza aspettare che sia lui a muovere il primo passo. “È una cosa che mi ha cambiato. Noi non aspettiamo che gli ospiti vengano da noi, siamo noi che ci muoviamo verso di loro. Con delicatezza, senza pressioni, rispettando i tempi. È una forma di accoglienza attiva, paziente, che fa la differenza”. A volte il confronto è duro. Non tutti ce la fanno, e lui lo sa bene, ma non per questo si smette di provare. Il suo obiettivo, e quello dell’équipe con cui lavora, non è creare persone “perfettamente integrate”, ma accompagnare ciascuno verso una forma di autonomia e soddisfazione personale, per quanto piccola possa sembrare. “Non c’è il più bravo o il meno bravo. C’è chi trova un equilibrio, una strada. C’è chi, magari, ha solo bisogno di tempo”. Nel frattempo, Amine continua a coltivare le sue passioni. Suona, scrive musica, e sogna – magari un giorno – di tornare all’Università. Ha perso suo padre e sua nonna durante la pandemia, senza poterli salutare. È un dolore che si porta dentro, ma che ha imparato a custodire con delicatezza. “Sono le mie due cicatrici. Ma ora sto lavorando su quei lutti, sto cercando di trasformarli in forza”. Non ha mai smesso di guardare avanti. E anche se gli mancano le sue sorelle, la sua casa, le cose semplici della vita di prima, ha scelto di restare in Italia, dove ha costruito un pezzo di futuro. “Firenze mi ha accolto. E oggi, grazie alla Fondazione, posso restituire un po’ di quel bene ricevuto. Mi sento parte di qualcosa. E anche quando le giornate sono pesanti, so che ha senso esserci”. L'Area Immigrazione di Fondazione Solidarietà Caritas Firenze comprende 9 responsabili (compreso quello di area), che coordinano ciascuno un progetto o un servizio all'interno del progetto. Fanno riferimento all'area i 20 CAS Centri di Accoglienza Straordinaria per richiedenti Asilo (sul territorio di Firenze e provincia), 3 progetti e 18 case (sempre sul territorio di Firenze e provincia) del SAI Sistema di Accoglienza Integrazione per i Titolari di Protezione Internazionale, per un totale di 386 posti letto. Le nazionalità più accolte sono Bangladesh, Pakistan, Afghanistan, Ucraina.