Tav, Dad, Isee: troppe sigle nel nostro linguaggio. La Crusca: "Problemi di chiarezza"

Il professor Biffi dell'Accademia della Crusca: "C'è un problema di chiarezza. Non sempre i significati degli acronimi sono chiari"

Accademia della Crusca

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Firenze, 20 novembre 2021 - Dad, Isee, Tav. E, ancora, Pof, Dsga e Cfu. La nostra lingua è ormai infarcita di acronimi. Lo ha fatto ben presente anche il presidente Mattarella, nei giorni scorsi all’inaugurazione dell’anno accademico a Siena. «Non so se siano stati fatti in qualche Ateneo, ma se così non fosse sarebbe utile, studi per approfondire le conseguenze dell’uso smisurato degli acronimi sul linguaggio e sulla facilità di comunicazione», le sue parole. Sì, perché il problema numero uno riguarda la poca chiarezza di certe frasi straripanti di sigle. Siamo sicuri che tutti le capiscano? La risposta, ovvio, è no. Ne parliamo con il docente dell’Università di Firenze Marco Biffi, responsabile web Accademia della Crusca.

Professore, quali sono gli acronimi più usati?

“Difficile da dire. Certamente, negli ultimi tempi abbiamo imparato cosa vuol dire Dad, ovvero didattica a distanza. Lo stesso Covid è una sigla. E poi l’Isee, concetto che torna spesso perchè ha un grosso impatto sulla vita delle famiglie. Ancora, l’Iva, la Tari, lo Spid. Le sigle sono infinite e derivano soprattutto dal linguaggio amministrativo. È lì che nascono gli acronimi, che poi invadono il linguaggio comune”.

Insomma, è proprio lo Stato a non ‘parlar chiaro’.

“E’ così. Mentre invece proprio i documenti amministrativi dovrebbero essere di facile e chiara lettura. Invece, spesso appaiono opachi anche per via degli acronimi. Si tratta di sigle che, poi, possono anche diventare  di fatto delle parole, di cui però a molti sfugge il contenuto complessivo”.

Come invertire la rotta?

“Bisogna assolutamente inaugurare buone pratiche di scrittura degli atti amministrativi. In seconda battuta, anche i media dovrebbero usare meno le sigle”.

Spesso, non si sa quale articolo abbinare ad un acronimo.

“Sicuramente. Ecco che Tav è accompagnato da ‘la’, intesa come linea ferroviaria. Dovremmo invece dire il Treno ad alta velocità… Quindi, il Tav. Nell’immaginario del pubblico, l’articolo viene assegnato a senso. Var? Indica l’assistente dell’arbitro, ma molti continuano a dire ‘la’ Var, sottintendo la tecnologia, o pensando alla vecchia moviola. La Crusca dette un parere proprio su questo. Bisogna usare l’articolo al maschile anche perché le parole inglesi, morfologicamente, introdotte nell’italiano prendono il maschile”.

Troppi acronimi imbruttiscono anche la nostra bella lingua?

“Non ne farei un problema di estetica, quanto di chiarezza. Alcune sigle sono facilmente comprensibili, ma altre no. Invece la lingua deve essere chiara. Ogni giorno però nascono acronimi e, per via della velocità di propagazione dell’informazione, non c’è neanche il tempo di ‘digerirli’. A scuola gli atti amministrativi sono pieni di sigle. Derivano dai regolamenti ministeriali e, poi, a cascata, impattano su un pubblico generalizzato. Pensiamo ai Cfu. Non tutte le matricole universitarie sanno che si tratta dei crediti formativi universitari. Ci sono giovani che restano spiazzati”.

Alla Crusca vi arrivano tante richieste di chiarimenti?

“Il nostro servizio consulenza riceve tante domande in merito. E, puntualmente, le sigle di cui ci viene chiesta una spiegazione sono le stesse molto ricercate su Google. Alcuni acronimi hanno anche doppi significati!”.

I social hanno un ruolo in questo?

“Non direi. In rete il fenomeno è diverso, di natura gergale. Alcune abbreviazioni, tipo ‘tvb’, sono ancorate ai primi tempi, quando negli sms dovevamo risparmiare spazio. Ora casomai abbreviamo per risparmiare il tempo. Ma sono fenomeni diversi”.

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