La virologa Gismondo: "Coronavirus in Italia da novembre. Al lavoro per trovare una cura"

L'esperta dell'ospedale "Sacco" di Milano: “Il ceppo italiano che abbiamo isolato noi non ha mostrato caratteristiche di maggiore aggressività”

Maria Rita Gismondo (Imagoeconomica)

Maria Rita Gismondo (Imagoeconomica)

Firenze, 10 marzo 2020 - “Isolare un virus significa mettere a nudo il nostro nemico, conoscerlo meglio, svelare la sua anima genetica, guardare come si sta diffondendo, controllarne le nuove forme: insomma vuol dire che lo abbiamo a portata di mano e che ci fa meno paura”. Maria Rita Gismondo ha speso tutta la sua carriera in mezzo ai microrganismi. Ora dirige la Microbiologia clinica, virologia e bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, in prima linea contro il coronavirus.

Professoressa, quanto tempo servirà alla ricerca per individuare un vaccino e terapie antivirali efficaci?

“Per il vaccino servirà almeno un anno, speriamo che l’epidemia nel frattempo sia stata sconfitta. Per la terapia, se azzecchiamo la via giusta, in qualche mese ce la possiamo fare. Ma sono ipotesi di massima, perché è un virus finora sconosciuto e navighiamo a vista. Noi testiamo le molecole in vitro. Poi la ricerca farmacologica passa agli studi su animali e dopo sull’uomo”.

Ci sono farmaci che sono stati realizzati per Ebola e che sembrano funzionare…

“Dare un parere definitivo sulle molecole oggi sarebbe superficiale, si fanno test ma non tutti i pazienti reagiscono allo stesso modo. Bisogna provarne l’efficacia e valutare che non siano dannosi”.

E’ vero che il virus era già arrivato in Italia a novembre dello scorso anno e quindi prima che venissero scoperti i primi casi atipici di polmonite in Cina?

“Questo è assodato, emerge chiaramente dai nostri studi all’Università di Milano e da quelli di altri gruppi di scienziati”.

Com’è stato possibile rintracciare la presenza del virus prima che fosse scoperto?

“Questi studi si fondano sulle genotipizzazioni, che sono la fotografia dell’anima del virus. Il confronto con i virus circolati in Cina e nel resto del mondo, ci ha fatto capire che si tratta di un unico virus. Ne abbiamo genotipizzati molti, iniziando la mappatura del percorso del virus in Italia: da qui abbiamo scoperto che era già presente nel nostro Paese da novembre dello scorso anno, dando una spiegazione a molti casi atipici di polmonite”.

Dunque c’è stato un ritardo nella comunicazione?

“No, non è colpa di nessuno. E’ un virus nuovo. In Italia lo abbiamo scoperto quando abbiamo cominciato a cercarlo”.

Mettendo al bando teorie complottistiche, è possibile capire se il virus, per le sue caratteristiche, può essere stato creato in un laboratorio?

“Sono consulente dell’Onu come esperto di disarmo biologico. Noi possiamo identificare se il virus è nuovo per la specie umana. Questo è un virus che proviene dai pipistrelli ma nessuno scienziato è in grado di poter dire se sia stato diffuso in maniera volontaria. Potremo anche non sapere mai se è stato realizzato in un laboratorio”.

Il virus si è incattivito in questi mesi?

“Il ceppo italiano che abbiamo isolato noi non ha mostrato caratteristiche di maggiore aggressività”.

Però in alcuni casi sembra più contagioso?

“La pericolosità è direttamente proporzionale alla carica virale presente. I pazienti sintomatici sono i più contagiosi, senza sintomi con la sola positività al virus non si è contagiosi”.

Senza entrare in polemica: crede che il suo collega Roberto Burioni le avrebbe fatto la stessa battuta (“la signora del Sacco”) se lei fosse stata un uomo?

“Sinceramente? No. Ma non ho mai polemizzato e non intendo farlo adesso”.

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