
Umberto Contarello debutta dietro la macchina da presa con ’L’infinito’
di Barbara Berti
FIRENZE
"La Grande bellezza di Firenze? Va sfiorata per vederla". Così lo sceneggiatore Umberto Contarello che oggi (ore 20,30) arriva al cinema Portico per presentare ‘L’infinito’, il suo primo film da regista di cui è anche il protagonista. Padovano, 66 anni, Contarello ha scritto ‘La Grande Bellezza’, il film di Paolo Sorrentino che ha vinto l’Oscar per il Miglior Film Straniero nel 2014.
Ha lavorato a diverse altre pellicole del regista napoletano tra cui ‘This Must Be The Place’, ‘Loro’ e alla serie tv ‘The Young Pope’. E adesso debutta dietro la macchina da presa in questo film scritto con Sorrentino che lo produce con Numero 10, The Apartment una società del gruppo Fremantle, UMI Films.
Tra lei e Sorrentino quando si sono ribaltati i ruoli?
"Tutto nasce da una telefonata con Paolo, che all’improvviso mi dice che stavolta l’avrei girato io un film che avremmo scritto insieme e che lui avrebbe prodotto. Con l’incoscienza degli uomini adulti, dissi sì".
Come vi siete conosciuti?
"Ci lega un’amicizia ultra trentennale. Ci siamo conosciuti quando lui viveva ancora a Napoli. Avevo letto un copione che aveva scritto per un film, così insieme facemmo tanti sopralluoghi in posti meravigliosi. Il film non è stato mai realizzato ma noi prima abbiamo condiviso lo stesso linguaggio e poi siamo diventati amici".
Il film racconta la storia di un uomo, ‘Umbe’, da lei interpretato, aggrappato ai successi del passato che si trova a fare i conti con un presente nostalgico e solitario.
"Il film fotografa il trascorrere dei giorni vagabondi e dolenti di un superstite che tenta di ricostruire un senso all’esistenza. Tenta di ritrovare un lavoro sebbene la sua carriera sia in irreversibile declino, tenta di riconquistare il rapporto con sua figlia, spazzato via dal recente divorzio, tenta di aiutare una giovane sceneggiatrice di talento. Si adatta alla sua nuova casa, vuota e troppo spaziosa per la sua solitudine, si occupa delle incombenze burocratiche da cui era sempre fuggito".
Quanta verità c’è nel film?
"Lei vuole sapere se è autobiografico? Carrère fonda spesso le sue storie su una realtà biografica incontestabile che influenza tutto lo sviluppo delle cose che succedono, come una corrente".
Perché ha scelto di girare il film in bianco e nero?
"No, ho scelto una scala di grigi, il colore che corrisponde all’umore del protagonista".
Come ha affrontato il suo primo set da regista?
"Con gioia. Con la leggerezza di un ballerino".
Le piacerebbe continuare l’avventura da regista?
"Se arriva un’altra possibilità la prendo, se mi diverte. Io mi diverto sempre e con poco: mi diverto a scrivere e mi diverto in giro con un amico".