
di Olga Mugnaini
Pittore, ceramista, grafico, affreschista, illustratore e scenografo. Versatile e innovativo, Galileo Chini è uno degli artisti italiani che all’inizio del Novecento segnano il passaggio alla modernità.
A questo protagonista della cultura europea, che si muove fra il divisionismo, l’Art Nouveau e le inquietudini simboliste, è dedicata la mostra che riapre Villa Bardini dopo la pandemia.
"Galileo Chini e il Simbolismo Europeo", è il titolo dell’esposizione (da oggi fino al 25 aprile), a cura di Fabio Benzi, promossa da Fondazione Cr Firenze e da Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron, che si concentra sugli anni giovanili dell’artista nato a Firenze e vissuto fra il 1873 e il 1956.
Sono oltre 200 i pezzi in mostra fra dipinti, disegni, illustrazioni e ceramiche, in un susseguirsi continuo di legami e parallelismi fra l’artista e l’arte internazionale che lo ispirò e che spesso a lui si è ispirata. Opere che raccontano l’ambiente artistico tra Simbolismo francese e mitteleuropeo, tra Preraffaellismo e Secessioni, e l’intrecciarsi del percorso di Chini con quello di artisti come Auguste Rodin, Gustav Klimt, Max Klinger, Ferdinand Hodler, William de Morgan, Walter Crane, Aubrey Beardsley, Gaetano Previati, Giovanni Segantini, Odilon Redon, Ferdinand Khnopff, Félix Vallotton, Pierre Bonnard e molti altri.
Tra le più celebri commissioni pubbliche, da ricordare le decorazioni delle sale alle Biennali del 1903, 1907, 1909 e del 1914, con alcuni brani pittorici esposti in mostra, tra cui la Sala del Sogno del 1907. E ancora l’avventura in Siam (l’odierna Thailandia), per decorare la grande Sala del Trono di Bangkok, che segnò un’apertura su un nuovo sentimento della natura.